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Ma il machismo riguarda tutti

articolo sull'Avanti! del 20 febbraio 2011

iù di un milione di donne in tante piazze italiane per la manifestazione “Se non ora quando”; tante, tantissime donne e anche una buona presenza maschile ad indicare che quello del machismo nel nostro Paese è un problema che riguarda tutti, uomini e donne. So che può sembrare assurdo, ma io ringrazio (si fa per dire...) Berlusconi che ha il “merito” di aver fatto emergere, in modo estremo, esasperato - perché l’uomo non ha misura - cosa significa nella vita di un Paese essere portatori, nel suo caso, e vittime, nel caso delle donne, della cultura maschilista e quali sono le conseguenze di questo costume. Il maschilismo è fenomeno trasversale, attraversa gli schieramenti politici e quelle che un tempo chiamavamo classi sociali. Ne sono portatori gli uomini e vittime, a volte conniventi, le donne. Molto spesso è fenomeno nascosto perché ce ne si vergogna. Ma Berlusconi no, lui non se ne vergogna, al contrario, e in questa sua spudoratezza trascina altri ed altre. Il nostro Paese ha bisogno di sobrietà, di rispetto delle persone e delle istituzioni, ha bisogno delle donne e delle loro competenze... tutti aspetti sconosciuti al nostro Presidente del Consiglio. Per rivendicare dignità e cittadinanza piena un milione di donne è andato in piazza, e se un milione vi sembran poche... Chissà se la ministra Gelmini è in grado di capire cosa richiama questa frase, quasi certamente no, anche perché lei di numeri e manifestazioni capisce poco, tant’è che un milione di donne le sono sembrate le poche, solite radical-chic. In piazza abbiamo detto a Berlusconi che non siamo né vogliamo essere doni, “il più bel dono che il creato ci ha dato”; che vogliamo essere cittadine con pari diritti e doveri degli uomini; che è ora che questo governo se ne vada perché taglia dove dovrebbe investire: nella scuola, nelle università, nella ricerca; che deve finire lo spreco dei talenti delle donne che si diplomano e laureano più e meglio dei colleghi maschi ma poi meno di una su due ha un lavoro retribuito; che deve andare a casa la classe politica che organizza il family day e non si preoccupa di aprire asili e scuole per l’infanzia, e così una donna su quattro lascia il lavoro alla nascita dei figli; che non ci piace la selezione della classe politica fatta tra le lenzuola e invece vogliamo donne e uomini competenti al governo del Paese e delle nostre città. E’ ora di dare una spallata a tutto questo, è ora di non essere più timide, fiduciose, obbedienti, a volte ossequienti, in fila, in attesa del nostro turno che non verrà perché sarà sempre il turno degli uomini. Non vogliamo più essere Paese ultimo o quasi in Europa per presenza femminile nelle istituzioni e nel mercato del lavoro, per progressione nelle carriere, per tasso di natalità, per servizi alle famiglie, per investimenti nella ricerca, per crescita del Pil. Siamo stanche di essere noi donne ultime per colpa di altri, uomini. Vogliamo misurarci alla pari: se non ora quando? In chiusura della manifestazione in Piazza del Popolo Francesca Izzo, a nome del comitato promotore, ha annunciato che l’8 marzo, Giornata Internazionale delle Donne, saranno indetti gli Stati Generali, per continuare a far sentire forte e autorevole la nostra voce.

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Il progetto atteso da tutti gli Europei: l'Europa sociale e la Federazione europea dei popoli

articolo di Pia Locatelli e Gianni Copetti pubblicato da lemonde.fr il 14 marzo 2011

La politica di Bruxelles è largamente percepita come una minaccia contro lo statuto economico, professionale e sociale. L’opinione se ne disinteressa in quanto non riesce ad intravvedere un mezzo per influenzarla. L’assenteismo crescente alle elezioni europee rappresenta la manifestazione di tale sentimento di impotenza. Malgrado ciò, il mantenimento di un modello sociale in cui libertà, solidarietà e progresso siano in equilibrio, deve necessariamente essere frutto di azioni a livello del continente. Se l’Europa è la prima potenza economica del globo, in grado di generare sufficiente ricchezza per poter seguire i propri intenti, ciò non è applicabile ad alcuno dei nostri Stati. La politica attuale non sembra essere in grado di definire un’alternativa alla gestione della società tramite i mercati, che è all’origine della crisi. È ora di ribadire la necessità di creare un’Europa sociale che presupponga la maturazione della democrazia europea. La politica sociale resta nazionale malgrado gli obiettivi di promozione dell’occupazione, di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e di copertura sociale adeguata promosse dall’UE. Tali obiettivi restano vane chimere, la cui realizzazione è affidata alle forze del mercato. Per realizzarli, l’Europa si limita a sostenere la cooperazione tramite studi, pareri e scambio di buone pratiche. Queste mini-misure non possono portare all’armonizzazione dei sistemi di copertura sociale, del diritto sindicale e dei negoziati collettivi, né a politiche in materia di occupazione, diritto del lavoro o formazione professionale. Per quanto riguarda l’occupazione, si prevedono analisi e scambi d’informazioni senza armonizzazione legislativa. Si impedisce che la diversità degli equilibri sociali evolva verso più sostanziali progressi, con il rischio di puntare al basso in nome della redditività . Il trattato UE stipula che l’armonizzazione dei diritti dei lavoratori richieda l’unanimità, anche se tale armonizzazione è alla base del funzionamento del mercato interno. I comparti della sicurezza e della protezione sociale, della resiliazione dei contratti e dei diritti sindacali restano privati di una possibile evoluzione politica, a seguito dell’imposizione della regola eccezionale dell’unanimità. L’Europa non può limitarsi a considerare i propri cittadini alla stregua di consumatori, facendo loro sopportare come lavoratori il peso della redditività degli investimenti. Lasciando che il mercato distrugga le nostre condizioni sociali in nome della flessibilità, l’Europa si conforma sul modello anglosassone, senza sapere che è proprio tale modello ad averci condotto in un vicolo cieco. I democratici devono porsi come priorità che gli obiettivi sociali dell’UE possano essere raggiunti con un voto a maggioranza degli Stati, e piena implicazione del Parlamento europeo, consentendo in tal modo cooperazioni rafforzate. Attualmente occorre mobilizzarsi affinché la Commissione presenti nel quadro del l’eliminazione delle distorsioni di concorrenza, un’agenda di armonizzazione delle disposizioni legali di natura sociale. In base al trattato, la politica in materia di concorrenza, analogamente a qualsiasi altra politica dell’Unione, deve poter garantire la protezione sociale. Anche se il raggiungimento di tale obiettivo non può mirare all’armonizzazione dei regimi di sicurezza, il rinnovo dell’agenda sociale del Consiglio europeo di Nizza2000 potrebbe garantire l’equilibrio tra flessibilità e sicurezza del lavoro e protezione sociale, in attesa di una revisione del trattato. L’agenda potrebbe essere realizzata a maggioranza qualificata ovvero nell’ambito di una cooperazione rafforzata della zona euro. In tal modo si potrebbero stabilizzare le condizioni sociali in un momento in cui esse non siano ancora troppo sfavorevoli. La realizzazione dell’Europa sociale presuppone l’instaurazione di una democrazia europea matura. La democrazia rappresentativa è il fondamento dell’Unione, non occorre far rivivere lo spettro di una costituzione stabilita a margine dei governi. Occorre designare tale aspirazione con il titolo di « federazione europea dei popoli» che potrebbe qualificare la nostra Unione, quando essa diventi una democrazia matura. Il fattore iniziale consiste nell’approfondire il ruolo dei partiti politici europei. Nel trattato UE si legge che essi contribuiscono alla formazione della coscienza politica e all’espressione della volontà dei cittadini dell’Unione. Si noti nondimeno che si tratta unicamente di organismi di coordinamento e che la loro ambizione si limita al più piccolo denominatore comune esistente tra i partiti nazionali. Occorre organizzare l’adesione diretta ai partiti politici europei ; un’evoluzione siffatta rappresenta una premessa affinché le elezioni europee si focalizzino su tali questioni. Nella composizione delle liste per le elezioni europee occorre inoltre presentare candidati di vari Stati membri. I partiti politici nazionali esitano ad includere personalità di altre nazionalità; eppure la possibilità di votare per candidati di un certo peso, simultaneamente in vari Stati membri, conferirà un’immagine europea a tali elezioni. Potranno emergere in tal modo dei rappresentanti di una volontà popolare allargata, con vocazione a partecipare all’esecutivo europeo, essendo la loro legittimità democratica analoga a quella di cui beneficiano i membri dei governi. I partiti potranno così annunciare la loro preferenza per dirigere la Commissione in caso di vittoria, conferendo alla medesima lo statuto di un autentico governo dell’Europa. L’esecutivo europeo potrà in tal modo essere unificato, chiamando il presidente della Commissione a presiedere anche il Consiglio europeo. Soltanto questa personalità godrà in effetti della legittimità democratica per rappresentare l’Europa al più alto livello. Essa potrà inoltre realizzare l’Europa sociale qualora questa sia la volontà dei cittadini.

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2011: un 8 marzo speciale

L'8 marzo di quest'anno è speciale perché ricorre il centesimo anniversario della prima giornata internazionale delle donne. Nel 1910, 58 delegate che provenivano soprattutto da Austria, Svizzera, Germania e Danimarca si riunirono a Copenaghen nel secondo Congresso dell'Internazionale Socialiste Donne e, su iniziativa della tedesca Clara Zetkin, lanciarono la proposta di indicare una giornata di marzo durante la quale ogni anno tutte contemporaneamente le donne dei diversi Paesi rivendicassero i loro diritti e manifestassero solidarietà internazionale. La proposta non solo venne immediatamente approvata, ma altrettanto convintamente messa in pratica: il 19 marzo dell'anno successivo un milione di donne scese nelle strade a manifestare per chiedere diritti politici e diritto al lavoro.
Spesso si fa coincidere l'8 marzo con l'incendio di una fabbrica di camicie di New York in cui morirono 146 persone, soprattutto giovani donne immigrate dall'Italia e dagli shtetl dell'Europa orientale. In realtà l'incendio avvenne il 25 marzo, pochi giorni dopo la prima manifestazione internazionale delle donne, e i due fatti rimasero così collegati fra loro che li si associa entrambi all'8 marzo. E' giusto mantenere il legame fra i due eventi perché l'uno e l'altro diedero avvio alla legislazione sul lavoro: il primo con un'azione di richiesta e protesta esplicita, il secondo a causa dello scandalo che la tragedia suscitò. Una tragedia che più propriamente si sarebbe dovuta definire massacro, perché causata dall'assenza di minime misure di sicurezza che una fabbrica, situata ai piani alti di un palazzo, doveva prevedere.
Washington Place, a New York, è la piazza dove ancora si trova l'edificio della tragedia, e ci vado ogni anno in una sorta di pellegrinaggio tra fine febbraio e i primi di marzo, in occasione della sessione della Commissione sulla Condizione delle Donne delle Nazioni Unite, a cui partecipo da sedici sessioni consecutive, come presidente dell'Internazionale Socialista Donne. Quest'anno il mio “pellegrinaggio” ha avuto una meta diversa, il cimitero di Evergreens, al confine tra Brooklyn e i Queens, dove i Newyorkesi hanno eretto un monumento di pietra, un bassorilievo raffigurante una donna inginocchiata, dedicato alle ultime sei vittime dell'incendio, mai identificate e sepolte in una bara comune a causa dello strazio dei corpi causato dalle fiamme. Dopo cento anni, grazie alla dedizione di un ricercatore, Michael Hirsch, le vittime sono state identificate e così, in occasione del centenario, il nome di ciascuna di esse sarà letto nella cerimonia di commemorazione. In seguito a questa identificazione, forse i e le Newyorkesi, sempre efficienti, cambieranno il monumento o anche solo la dedica. Il ricordo però delle origini delle lotte per i diritti al lavoro e i diritti politici delle donne e dei sacrifici che hanno consentito alle generazioni successive di aver una qualità di vita migliore non vanno dimenticati. Anche a questo serve l'8 marzo.