lunedì 27 Maggio 2013

Violenza donne, bene ratifica Convenzione di Istanbul


27 maggio 2013 Proposte di legge di ratifica: Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica

 

Discussione generale

 

Signora Presidente, la ringrazio non solo per avermi dato la parola, ma anche per aver dato rilevanza politica al tema della violenza contro le donne sin dal suo primo discorso in quest’Aula. Avere affrontato il tema nel suo discorso di insediamento e la sua successiva coraggiosa denuncia anche sulle pagine di quotidiani e riviste ha contribuito a imporre il tema della violenza alle donne nell’agenda del nostro Paese; bisogna anche dire che è un tema che s’impone da solo nell’agenda, anche perché è di ieri un’altra tragedia perpetrata con modalità crudeli ed efferate.

Purtroppo – e avete notato che siamo in un Parlamento paritario quanto a numeri oggi ? Siamo un centinaio, più o meno, metà uomini e metà donne –, la calendarizzazione in una giornata elettorale contribuisce a rendere meno concentrata la nostra attenzione, soprattutto ad avere minore presenza di colleghi, cui il nostro messaggio è rivolto in modo particolare, perché è soprattutto agli uomini che vogliamo parlare. Troppo spesso abbiamo parlato fra noi donne e troppo a lungo la violenza contro le donne è stata considerata questione di donne e questione privata. Non avrebbe mai dovuto essere né l’una né l’altra cosa: è questione politica, in quanto fenomeno di pericolosità sociale che riguarda tutta la società; è questione di uomini e di donne, perché riguarda i rapporti tra uomini e donne.

Qualche mese fa Mariella Gramaglia ha scritto che c’è uno strato roccioso, buio, sotterraneo nei rapporti tra uomini e donne, soprattutto fra quelli che si frequentano, si uniscono e dovrebbero amarsi, che si chiama «violenza» e che nella quasi totalità dei casi conosce una sola direzione: da lui a lei.

Purtroppo, le istituzioni del nostro Paese non hanno mostrato un’efficace impegno nel contrasto a questo tragico fenomeno, tant’è che la relatrice speciale alle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne ha offerto – si dice in questo modo, con un linguaggio elegante – allo Stato italiano una lunga lista di raccomandazioni, che evidenziano la nostra inadeguatezza e incapacità. Sono diciannove diverse raccomandazioni e ciò significa che c’è un lungo elenco di cose da fare.

Ma perché la realtà italiana è così triste ? Purtroppo, la spiegazione sta nella nostra cultura, nella nostra storia e nella nostra legislazione. A volte dimentichiamo – ma ce l’ha ricordato il collega Fava – che nel nostro Paese il delitto d’onore è stato abolito poco più di trent’anni fa e questo delitto veniva punito con la reclusione da tre a sette anni; se l’articolo in questione valeva per entrambi i sessi, in un Paese in cui tutto è sempre stato declinato al maschile, in quel caso era scritto nell’accezione femminile, nella presunzione che soltanto l’uomo potesse venir colpito dall’offesa arrecata all’onor suo e della famiglia di cui era signore e anche padrone. Così come il reato di adulterio era solo a carico della moglie che aveva tradito il marito, perché per il marito si parlava di concubinato, senza prevedere che ci potesse essere una reazione della moglie.

E ancora, il codice civile del 1942 stabiliva la condizione di inferiorità della donna nei rapporti personali e patrimoniali, e il codice penale stabiliva che chi abusava di mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità – e la moglie era per legge sottoposta – veniva punito se le lesioni erano gravi. Insomma, il marito era libero di picchiare la moglie. Tutto questo è storia, è storia recente, perché questo contesto fu superato dal punto di vista giuridico – e sottolineo giuridico, non nella realtà dei fatti – solo con il nuovo diritto di famiglia del 1975, ma fino ad allora l’esercizio del potere maschile coincideva con il diritto ad esercitarlo.

Non ho ricordato tutti questi articoli per amore della storia. L’ho fatto per una ragione precisa: c’è qualcuno che, oggi, attribuisce le morti violente delle donne – i femminicidi – alla liberalizzazione dei costumi, al venire meno della tenuta delle famiglie, manifestando una sorta di nostalgia per quei «bei tempi passati» che ho descritto prima. Noi non rimpiangiamo questo passato e abbiamo lavorato per cambiare la società, per migliorare la condizione delle donne e per consentire loro, a partire dalle giovani donne, di vivere appieno la vita in condizioni di opportunità equivalenti a quelle dei loro coetanei, nella vita privata, sociale e professionale.

Fermare questa tragedia è impegno che riguarda tutti e tutte, in particolare chi, come noi, si trova a ricoprire ruoli istituzionali. Fermare questa tragedia significa assumere impegni precisi per avviare azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione, con politiche attive, coerenti e coordinate, che coinvolgano i diversi attori, istituzionali e non, a tutti i livelli, ponendo il tema della violenza contro le donne come priorità assoluta.

L’approvazione del progetto di legge per la ratifica della Convenzione di Istanbul è un impegno che va nella direzione giusta. Saremo il quinto Paese a ratificare la Convenzione e ne servono altri cinque perché la Convenzione entri in vigore. Facciamolo presto, ma facciamolo bene, per evitare che questo atto si riduca a pura operazione di immagine, perché tale sarebbe se si lasciasse immutata la legislazione vigente.

Questo ci chiede nei fatti la Convenzione di Istanbul, proponendo un approccio complessivo e integrale, capace di affrontare il tema nella sua drammatica complessità.

Questo ci invitano a fare le promotrici della Convenzione No More !, che insieme ad altre associazioni impegnate sul tema della violenza ci indicano una strada. Queste promotrici (sono insieme tante associazioni) ci indicano una metodologia di azioni da compiere come parte di un unico percorso, a completamento di questo percorso, e ci suggeriscono di focalizzare i contenuti specifici della Convenzione in singoli obiettivi di intervento, di esaminare la legislazione vigente e, in particolare, gli strumenti di protezione e assistenza alle vittime cosiddette vulnerabili, di reperire risorse finanziarie, di verificare gli strumenti giuridici internazionali o le fonti normative dell’Unione europea. Ci sono quattro direttive europee da ratificare; non le elenco, sono nell’ordine del giorno che abbiamo presentato.

Prima di concludere dico una sola cosa, a titolo personale, perché va oltre l’ordine del giorno presentato. Quando il Governo italiano ha firmato la Convenzione, ha contestualmente depositato una nota a verbale, con la quale ha dichiarato che applicherà la Convenzione nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali. La nota nasce a causa della definizione del termine «genere» contenuta nella Convenzione.

Una sola riga… L’articolo 3 dice infatti: «Con il termine di genere ci si riferisce a ruoli, comportamenti e attività socialmente costruiti, che una determinata società considera appropriati per uomini e donne». Il nostro Governo ha ritenuto che questa definizione fosse troppo ampia e incerta e presentasse profili di criticità con l’impianto costituzionale italiano. È difficile per me da capire e chiedo a lei, Presidente, al Ministro delle pari opportunità e al Viceministro Pistelli di fare pressioni sul Governo attuale perché tale nota a verbale sia ritirata e la nostra ratifica della Convenzione risulti piena, limpida e senza incertezze ed eccezioni.

Dichiarazione di voto

 

Approvando il disegno di legge per la ratifica della Convenzione di Istanbul, la Camera segna una pietra miliare nella storia dei diritti delle donne. Questa Convenzione è importante perché costituisce il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che definisce un quadro normativo completo a tutela delle donne contro la violenza, inclusa quella domestica.

Questa Convenzione è importante perché interviene sul piano non solo della repressione ma su quello della prevenzione, dell’assistenza, della sensibilizzazione culturale e dell’educazione con una attenzione specifica a situazioni di particolare vulnerabilità. È motivo di orgoglio essere tra i primi a ratificare la Convenzione, dobbiamo fare presto ma dobbiamo fare bene, realizzando tutto quanto è utile ad evitare che questo atto si riduca a pura operazione di immagine.

Tale sarebbe se si lasciasse immutata la legislazione vigente.

Il sistema italiano di contrasto alla violenza di genere presenta significative criticità: manca un quadro legislativo nazionale, manca una politica organica di riferimento e di sostegno finanziario, manca il recepimento di quattro direttive europee indispensabili. Chiediamo quindi di adeguare quanto prima l’ordinamento italiano agli standard internazionali e comunitari, e di adottare in tempi brevi ogni iniziativa utile a dare impulso alla realizzazione di una organica politica nazionale che garantisca i diritti umani e delle donne.

Vorrei infine richiamare l’attenzione sulla nota verbale che il precedente Governo ha depositato all’atto della firma della Convenzione. Con essa il Governo ha dichiarato che applicherà la Convenzione nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali, non accettando la definizione contenuta nella Convenzione del termine «genere», inteso come «ruoli, comportamenti, attività, attributi socialmente costruiti, che una determinata società considera appropriati per donne e uomini». Il Governo precedente ha ritenuto che questa definizione presentasse profili di criticità con l’impianto costituzionale italiano, e mi è difficile capire questa posizione.

Ancora una volta invito il Governo attuale a ritirare la nota verbale, e che così la nostra ratifica sia piena, limpida, senza ombre o riserve di alcun genere