giovedì 19 Marzo 2015

Non lasciare spazio a derive e atteggiamenti razzisti


Intervento in occasione della XI settimana d’azione contro il razzismo UNAR

’Italia è sempre stata un paese che si è contraddistinto per la difesa dei diritti umani, per il sostegno alle popolazioni più deboli, per le sue politiche di accoglienza. Lo dimostrano le nostre missioni internazionali nei paesi colpiti dai conflitti, nel corso delle quali i nostri militari si sono sempre spesi a favore delle popolazioni civili. Lo dimostrano inostri impegni in sede Onu, dove siamo sempre stati in prima fila nel sostenere mozioni e convenzioni di carattere umanitario. Lo dimostrano le emergenze che ci hanno visto e ci vedono, nonostante le difficoltà economiche, sempre tra i primi nel fornire gli aiuti.

Non siamo mai stati un paese razzista. Non è nel nostro Dna, nella nostra storia di emigranti, nel nostro carattere aperto e inclusivo nei confronti di culture diverse.

In questi ultimi anni la crisi economica, la mancanza di lavoro, la carenza di servizi sociali, il venir meno di un benessere diffuso, hanno fatto sì che le cose siano cambiate. Il migrante, il profugo, il rifugiato, non viene più visto, come accadeva nei primi anni ’90, come una risorsa per le imprese, un apporto di manodopera per lavori che i nostri cittadini non vogliono più svolgere, o semplicemente uno sfortunato da tutelare e proteggere dalle dittature o dalle guerre del suo paese di origine, bensì come un usurpatore, uno sfruttatore di risorse e occupazione che altrimenti andrebbero agli italiani.

E’ facile essere generosi in momenti di benessere economico, ma è ancor più facile, quando ci si trova in situazioni di crisi, di disoccupazione, di drastico abbassamento del tenore di vita dei cittadini, diffondere falsità e alimentare paure per raccogliere consensi.

Bisogna respingere con forza questo approccio ai problemi, in particolare quando sono in gioco i diritti umani delle persone. Ci sono principi che devono guidare l’azione di tutti coloro che rivestono cariche pubbliche anche, direi soprattutto, nei momenti di crisi.

Sto pensando a quei valori di accoglienza e solidarietà che, come dicevo prima, da sempre hanno contraddistinto la nostra Repubblica e dai quali non dobbiamo derogare. Anche se sarebbe la via più semplice, anche se farebbe guadagnare qualche voto in più.

Lo scorso novembre il nostro Parlamento ha ospitato la Conferenza sui Diritti Fondamentali 2014, organizzata dall’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione Europea in collaborazione con la Presidenza italiana del Consiglio della UE, una Conferenza che ha discusso dell’importanza dei diritti fondamentali nelle politiche dell’Unione Europea in materia di migrazioni.

Noi, europeisti convinti, abbiamo gioito due volte: perché il rispetto e la garanzia dei diritti fondamentali delle persone costituiscono valori identitari dell’Europa e per la scelta compiuta dall’Agenzia di affrontare il tema delle politiche migratorie assumendo come riferimento il parametro della salvaguardia dei diritti fondamentali.

Questa premessa è per affermare che le scelte politiche non devono essere legate alla contingenza del momento ma vanno collocate in un quadro di coerenza con principi e valori.

Certo non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà: ci rendiamo conto che ci sono paure diffuse e ci facciamo carico delle preoccupazioni di cittadini e cittadine. Ma abbiamo anche il dovere di capire da dove vengono queste paure, se siano fondate e se non siano alimentate in modo strumentale.

Partiamo dai dati, dai numeri di migranti e di rifugiati. Secondo gli ultimi dati dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani, la presenza dei rifugiati nei 28 Paesi dell’Unione Europea alla fine del 2013 è di quasi un milione di persone, distribuite tra i diversi Stati in modo non omogeneo: Francia 232.000; Germania 187.000; Regno Unito 126.000; Svezia 114.000; Italia 78.000. La Francia e la Gran Bretagna, che hanno come noi 60 milioni di abitanti, accolgono un numero di rifugiati pari al triplo in Francia e una volta e mezzo in Gran Bretagna. La Svezia, che non arriva a 10 milioni di abitanti, ne accoglie 114 mila, noi 78 mila.

Ma i numeri dell’accoglienza, secondo i dati forniti da Eurostat, sono ancor più sorprendenti se si guarda all’incidenza dei rifugiati sul totale della popolazione. In questo caso il nostro paese scivola, infatti, al 14esimo posto del’Ue a 28, ultimo tra le grandi nazioni dell’Unione europea esclusa la Spagna. In base alla popolazione hanno molti più rifugiati di noi Germania, Francia e Inghilterra ma anche paesi piccoli e lontani dal bacino del Mediterraneo come la Svezia, il Lussemburgo, l’Olanda, Cipro, il Belgio e l’Olanda. A guidare la classifica, basata sull’incidenza percentuale dei rifugiati sul totale degli abitanti è invece Malta, meta come l’Italia dei flussi via mare. Qui i rifugiati sul totale della popolazione sono quasi il 2 per cento.

Una parte importante del problema è la percezione dei numeri, che nasce anche, forse soprattutto, da campagne alimentate ad arte, ricche di menzogne. Mettiamo a confronto alcuni numeri reali con quelli percepiti per indicare quanto sia grande il divario tra la realtà e la sua percezione, che manifesta numeri “immaginati” ben diversi. Alcuni mesi fa un quotidiano britannico ha commissionato un sondaggio con il quale sono stati intervistati cittadini di alcuni Paesi dell’OCSE, Italia compresa, su argomenti diversi, tra questi l’immigrazione e la presenza di musulmani nel proprio Paese. Lo scarto tra realtà e percezione della stessa è significativo in diversi Paesi europei (Francia, Belgio, Gran Bretagna), ma in Italia lo è particolarmente. Gli italiani credono che la percentuale degli immigrati sulla popolazione sia del 30%, con un 20% di musulmani. In entrambi i casi la percezione moltiplica rispettivamente per 4 e 5 volte il dato reale: gli immigrati sono il 7% e i musulmani il 4%.

Questi dati dimostrano che le campagne che fomentano sentimenti di esclusione, discriminazione, paura dell’altro fanno breccia nell’opinione pubblica. Con conseguenze gravi per la coesione sociale. E altrettanto gravi sono le responsabilità dei media e di chi alimenta queste campagne.

Che fare? Abbiamo il dovere di smentire falsità e di far sapere che alimentando odio e paura del diverso non si blocca l’immigrazione, ma si dà vita a pericolosissime derive razziste. Non si fermano le migrazioni, in particolare di chi scappa da guerre, terrorismo, persecuzioni, violenze. E’ come voler fermare l’acqua.

Con la tragedia di Lampedusa dell’ottobre 2013, nella quale sono morti a poche centinaia di metri dalla costa 366 profughi in fuga dalle brutali persecuzioni del regime del proprio paese, si è levata un’ondata, spesso più di circostanza che realmente sentita, di sdegno e commozione.

Sono stata a Lampedusa, all’indomani di quella strage con l’intergruppo Parlamentare per le Migrazioni. Abbiamo visto quelle centinaia di bare senza nome, abbiamo visitato il centro accoglienza e denunciato la sua insufficienza, abbiamo parlato con i superstiti.

Il nostro primo impegno al rientro è stato quello di abolire il reato di immigrazione clandestina, introdotto con la Bossi-Fini, il secondo di sostenere a livello parlamentare, fino all’ultimo l’operazione Mare nostrum che ha permesso di salvare 100.000 vite con un costo di due euro all’anno per ogni italiano: due caffè all’anno per salvare 100.000 persone.

Adesso Mare nostrum è stata sostanzialmente smantellata, sostituita da Triiton.

Noi abbiamo continuato a ripetere che era un errore e abbiamo chiesto più volte che il governo mantenga attive quelle sue funzioni che non sono sovrapponibili con quelle di Triton, ricercando piuttosto una complementarietà tra i due programmi, non disperdendo le competenze acquisite.

Gli oltre 300 morti del nuovo naufragio del febbraio scorso ci danno ragione. E’ una ragione che non vorremmo avere. Purtroppo le vittime di questi giorni alimentano le polemiche: l’Onu con il suo relatore speciale per i diritti umani Francois Crepeau, definisce insufficiente la risposta di Frontex quando sono in gioco così tante vite umane, mentre la UE che gestisce con noi il nuovo programma ammette che bisogna fare di più.

Certamente non da soli. Vogliamo essere europei anche in questo e vogliamo condividere il peso di queste politiche. Un peso che a volte ci è leggero, vedi numero di rifugiati, che vanno distribuiti in modo più equilibrato; a volte ci è pesante, vedi costi di Mare Nostrum, che vanno condivisi. Per questo abbiamo presentato una risoluzione, accolta dal Governo, nella quale chiediamo il mantenimento dell’operazione Mare Nostrum che affianchi Triton, perché questa non è un’operazione sostitutiva né per mezzi né per risorse di Mare Nostrum.

I migranti non arrivano nelle nostre coste perché sanno che verranno salvati, come sostengono coloro che hanno sostenuto la chiusura di Mare Nostrum, ma perché non altra scelta. Gli sconvolgimenti politici avvenuti in Africa dopo la cosiddetta Primavera Araba e le guerre civili in Libia, Egitto, Siria sono la causa di un esodo ormai strutturale.

Scappano dalla guerra, dalle bombe, dalla violenza, dagli stupri. Fuggono da Stati dove non c’è libertà, non c’è pane, non c’è giustizia, dove i diritti dell’uomo e della donna vengono sistematicamente calpestati.

Salvarli è la nostra priorità, e questa è la vera emergenza.

Abbiamo chiesto più volte di modificare il regolamento Dublino III, al fine di facilitare la mobilità dei rifugiati riconosciuti affinché possano stabilirsi anche in Paesi della UE diversi da quelli in cui hanno effettuato la procedura di asilo, per ragioni familiari, umanitarie, di opportunità economica.

A questo deve aggiungersi la costruzione di un sistema europeo di asilo, accompagnata dall’istituzione, nei Paesi rivieraschi della sponda meridionale del Mediterraneo, di sedi di screening delle richieste di accesso alle frontiere comuni europee, che limiti il ruolo dei trafficanti in un fenomeno che comunque esiste e continuerà ad esistere.

L’Italia vanta una tradizione diplomatica, storica e politica di agente di pace e di solidarietà nel Mediterraneo. Il difficile contesto interno, europeo e internazionale non sia un motivo per rinnegarla.

Lavoriamo su questi fronti e lasciamo da parte facili populismi per conquistare qualche voto in più. Non possiamo farci guidare dal cinismo e lasciare spazio a pericolose derive razziste, che ci torneranno indietro con gli interessi in termini di una disgregazione sociale che ora si manifesta contro gli immigrati, poi forse tra italiani e italiani e poi magari tra lombardi e lombardi.

Una deriva pericolosa che viene, come dicevo, sfruttata da alcuni esponenti politici, per “parlare alla pancia degli italiani”, per cercare consensi e voti in più. Penso alle inaccettabili esternazioni del vicepresidente del Senato Gasparri, alla recente alleanza tra la Lega di Salvini e i neofascisti di Casa Pound, alle dichiarazioni razziste degli europarlamentari Borghezio e Buonanno e chiudo citando il caso di un altro vicepresidente del Senato, Calderoli che definì un orango l’ex ministra Kyenge. Non sono d’accordo con la decisione della Giunta per le Immunità del Senato di non concedere l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’esponente leghista per quelle dichiarazioni. Non sono d’accordo soprattutto sul parere espresso secondo il quale in quelle parole “non si ravvisano istigazione al razzismo, né diffamazione”.

Non è così e certi comportamenti andrebbero assolutamente censurati, soprattutto quando si ricoprono ruoli istituzionali.

Così come andrebbe censurato quanto affermato dall’eurodeputato leghista Gianluca Buonanno, che ha definito la comunità Rom “feccia della società”, nel corso della puntata del programma televisivo Piazza Pulita. Dichiarazioni, che, come abbiamo scritto assieme al collega Khalid Chaouki, in un’interrogazione al Ministro dell’Interno, sembrerebbero violare la legge Mancino del 25 giugno 1993 n. 205, che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitazione e l’istigazione all’odio, alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.

Sono queste parole e questi atteggiamenti il pericolo più grande. Sono queste parole e questi atteggiamenti che minano la pace sociale. Sono queste parole e questi atteggiamenti che dobbiamo contrastare e combattere. E non chi viene e passa nella nostra terra perché non ha altra scelta per sopravvivere.


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