venerdì 17 Febbraio 2017

Intervento alla Conferenza Le Madri Fondatrici d’Europa


Intervento alla Conferenza Le Madri Fondatrici d’Europa

Università La Sapienza

Volevo innanzitutto ringraziare Maria Pia Di Nonno, non solo per aver dato vita a questa iniziativa romana, ma aver ideato e portato avanti il progetto “Madri Fondatrici dell’Europa”. E’ sempre un’emozione per me conoscere e incontrare giovani donne e in questo caso giovani ricercatrici che si impegnano per dare il giusto risalto ad altre donne e a quanto hanno fatto. E’ un caso piuttosto raro nelle ultime generazioni dove si dà spesso tutto per scontato, come se i diritti dei quali tutte possiamo oggi beneficiare, a cominciare dalla parità fino ai diritti civili, fossero sempre esistiti e non il frutto di battaglie delle precedenti generazioni.

In questo caso il merito è doppio. Da un lato, infatti, IN PRIMO LUOGO, il progetto è volto a dare volti e nomi a quelle donne rimaste nell’ombra, ignorate dalla storia, che hanno avuto un ruolo chiave nella formazione dell’Europa. Nella storia rimangono D’ALTRONDE soprattutto, quasi esclusivamente tracce delle azioni degli uomini, perché la storia, a volte la vita stessa, è fatta  su misura per gli uomini.

Un esempio è la nostra Resistenza: nell’immaginario collettivo, e nella documentazione storica si è parlato per anni di partigiani, salvo poi “scoprire”  che migliaia di donne sono state parte attive, protagoniste della Resistenza.

E abbiamo aspettato una settantina d’anni perché ci fosse traccia alla Camera delle madri costituenti, una Camera piena di busti di uomini, illustri certo, ma, nessuna donna. Oggi abbiamo la Sala delle donne, grazie alla presidente Laura Boldrini, che ha voluto colmare questa lacuna.

Tutti, o quasi, conoscono Altiero Spinelli, Alcide de Gasperi, Jean Monnet o Konrad Adenauer, ma quasi nessuno sa chi erano Ursula Hirschmann,  Eliane Vogel- Polsky, Louise Weiss, Sofia Corradi, Sophie Scholl, Ada Rossi, Simone Weil, Fausta Deshormes, Maria Jervolino De Unterrichter. Questo progetto invece ci mostra che il loro ruolo non fu affatto secondario e che quello spirito originario che ha portato alla creazione dell’Unione europea è stato frutto anche di intuizioni e ispirazioni femminili. Con questa iniziativa pareggiamo un po’ i conti e restituiamo alle madri dell’Europa quanto loro dovuto.

E’ un passo importante, spero il primo di un percorso che deve continuare, e dal quale trarremo insegnamenti utili.

Non mi soffermo a parlare delle madri fondatrici lasciando questo compito alle storiche e alle ricercatrici. Volevo solo ricordare alcune di loro che ho sfiorato durante la mia lunga attività politica. Ho incontrato Simone Veil quando era al parlamento europeo, non più presidente ma con l’autorevolezza che le derivava anche dall’essere stata la prima presidente del parlamento eletto a suffragio universale; ho conosciuto Fausta Deshormes sempre disponibile con le italiane in visita al parlamento europeo o con le socialdemocratiche europee, lei che socialdemocratica non era, che si riunivano nel tentativo di dare vita a quella che poi sarebbe stata l’organizzazione PES Women; ho seguito il percorso intellettuale di Sophie Scholl, di cui mi ha parlato uno dei pochi sopravvissuti della Rosa bianca, un vecchio socialdemocratico che ho incontrato a Berlino, qualche anno fa e così mi è parso di essere entrata in contatto personale con lei. Ho letto di Ursula Hirschman perché, avendo letto di Colorni, socialista, mi son imbattuta in lei e ne sono rimasta affascinata.

 

Il secondo merito di Maria Pia Di Nonno è quello di non aver voluto confinare questa ricerca al mero spazio storico, ma di proiettarla verso il futuro. La storia di queste donne come spunto ed esempio per ridare all’Europa quello spirito che sembra essere perduto e per dimostrare che l’Europa non è solo quella delle banche, dell’austerity, dei conti pubblici in ordine, dei muri contro chi fugge da guerre e violenze, ma quella della pace, della cultura, della collaborazione e della solidarietà tra i popoli.

Ad un certo punto l’Europa sembrava fatta. I singoli Paesi avevano rinunciato a una parte della sovranità nazionale e aderito al progetto del mercato unico, della libera circolazione di persone e merci, della moneta unica. Alcuni decenni gloriosi nel corso dei quali abbiamo assistito all’allargamento del nucleo originario con l’ingresso dei paesi nordici e del sud Europa e successivamente dei Paesi provenienti dall’ex blocco sovietico, alla caduta delle barriere, all’arrivo dell’euro. Milioni di cittadini e cittadine di ragazzi e ragazze si sono spostati e si spostano all’interno dell’Unione per viaggiare, studiare, lavorare. Non sono italiani, francesi, tedeschi, spagnoli…sono europei, la generazione Erasmus.

Negli ultimi anni questa ambiziosa costruzione vacilla e i nuovi populismi e nazionalismi rischiano di mandarla facilmente in pezzi. L’Europa degli ideali è oggi vista come Europa dei soldi. La crisi economica e la disoccupazione che hanno colpito tutti gli Stati membri, il terrorismo internazionale e l’aumento dei flussi migratori hanno fatto il resto. Ovunque si respira voglia di meno Europa e non a caso l’uscita dall’euro e dall’Europa è il cavallo di battaglia di tutti i movimenti populisti e nazionalisti europei. Forse l’Europa non sbanderebbe come ora sta facendo se le sue madri e i suoi padri avessero lavorato sin dall’inizio insieme impedendo che il tratto economico-finanziario determinasse la fisionomia complessiva di questa unione che ora sta rischiando di dis-unirsi facendo prevalere i piccoli interessi nazionali.

Certo sarebbe velleitario sostenere che le donne possono salvare l’Europa, anche perché ci sono donne, penso a Marine Le Pen, che al contrario ne vogliono il fallimento. Ma è fuor di dubbio che un approccio femminile può contribuire a portare avanti la battaglia per una nuova Europa, democratica, solidale, della buona e piena occupazione.  C’è stato un tempo un cui si poteva dire, e lo dicevo con convinzione, che l’Europa conviene alle donne, in particolare alle donne italiane che, rispetto a quelle europee, hanno sempre vissuto situazioni più difficili: basso tasso di occupazione, a lungo scarsa presenza nelle istituzioni e nei luoghi decisionali in generale, scarsi servizi sociali che consentano di conciliare vita professionale e familiare.

La parità tra uomini e donne è uno degli obiettivi dell’Unione europea. Negli anni, la legislazione, la giurisprudenza e le modifiche dei trattati hanno contribuito a rafforzare questo principio e la sua applicazione all’interno dell’UE. Il Parlamento europeo è sempre stato un difensore attivo del principio della parità tra uomini e donne. E spesso quelle direttive emanate e le normative hanno fatto da apripista per le legislazioni nazionali. E le donne d’Europa hanno subito assunto un ruolo fondamentale.

Sono entrate in “politica” con voce nuova, femminile, attraverso il movimento delle donne, per ottenere la parità nell’accesso alla cultura, alle arti e alle professioni. Molto lucidamente, hanno capito per prime che “politica” non poteva più avere come sbocco la guerra, non poteva più avere come fine sopraffazione territoriale o la preminenza etnica, e neppure l’occupazione del potere economico, ma doveva poggiare sul riconoscimento di diritti e libertà per tutti: una “politica verso la pace” per dare un avvenire di vita a tutti, maschi o femmine che siano.

Nel processo di unificazione Europea le donne, partendo dall’art. 119 del trattato CEE che stabilisce la parità di retribuzione a parità di lavoro tra uomini e donne, sono state protagoniste nella elaborazione delle “direttive” più significative nel campo del sociale: quelle relative alla parità di accesso al lavoro, alla protezione sociale dei lavoratori, alla parità salariale, al diritto di maternità, ai congedi parentali, in un crescendo che si è allargato in una serie continua di iniziative per la promozione delle pari opportunità, della imprenditoria femminile, delle azioni positive, sino all’accesso delle donne ai servizi (bancari e assicurativi), dove si giocano interessi economici di massimo rilievo.

 

Se in Italia abbiamo fatto passi avanti, lo dobbiamo all’Europa:

la prima legge sull’uguaglianza tra uomini e donne nel posto di lavoro, la 903 del 1977 è stata approvata su impulso della direttiva europea dell’anno precedente .

Gli organismi di parità introdotti in Italia a metà degli anni ’80 sono nati in parallelo al primo piano di parità approvato dal parlamento europeo.

Ho assistito alla seduta del parlamento a Strasburgo in cui fu approvato, ero emozionatissima e ammirata: ero consapevole di assistere a qualcosa di molto importante per le donne, importanza che derivava anche dall’istituzione che lo promuoveva. Ricordo che mi è piaciuto tutto di quella giornata: l’architettura dell’edificio, l’incontro con alcuni parlamentari: Maria Antonietta Maciocchi, Gaetano Arfè , Mario Zagari (se penso alle presenze attuali, mi viene tristezza).

Le azioni positive entrano nel lessico e nella cultura del nostro Paese, e con esse  la legge 10 aprile 1991, n. 125, «Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro»: dovrebbe essere in grado di intervenire per rimuovere le discriminazioni e valorizzare la presenza e il lavoro delle donne nella società.

Legge, 25 febbraio 1992, n. 215, «Azioni positive per l’imprenditorialità femminile»: favorisce la nascita di imprese ad alta presenza femminile con società di capitali gestiti per almeno 2/3 da donne e imprese individuali.

Viene dall’Europa il gender mainstreming della Conferenza di Pechino 1995, lo portò alla conferenza Cristina Alberti, ministra spagnola,  capodelegazione perché la presidenza europea nel secondo semestre del 1995 era spagnola.

Fu l’Europa a parlare di double track: gender mainstreaming da un lato e azioni specifiche per le donne.

Anche la quota del 30% indicata come soglia minima della rappresentanza, al di sotto della quale la voce delle donne non era percepibile, è di fonte europea.

I congedi di paternità, la conciliazione, la condivisione, il pay gap, le non discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale: tutto da noi è arrivato dall’Europa e qualche volta abbiamo saputo fare meglio di quanto l’Europa proponesse, ad esempio in tema di congedo di maternità.

Poi però è iniziata una fase triste per l’Europa, e le donne sono le prime a pagare questa sua involuzione.

Ecco allora l’importanza di questo convegno che partendo dalla storia delle donne che hanno fatto l’Europa può attraverso le donne rilanciare l’Europa. E’ necessario però che si proceda unite, che si “faccia rete”. E’ quello che stiamo tentando di fare alla Camera con l’Intergruppo delle donne: portare avanti battaglie trasversali ai partiti su tematiche che riguardano le donne e promuovere uno sguardo di genere nei provvedimenti da approvare.

Bisogna provarci e bisogna crederci. Come ci ha creduto Jo Cox, la laburista inglese assassinata perché contraria alla Brexit e come ci ha creduto Ursula Hirschman

e ci ha creduto così tanto da rischiare la vita per portare fuori dell’isola di Ventotene un vento di pensiero lungimirante e appassionato. Era l’agosto del ’41 e il Manifesto venne trascritto su cartina di sigarette e infilato in un pollo: così Ursula è scampata alle perquisizioni e così è riuscita a portare quella magnifica idea in Italia e in Europa.

 


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