giovedì 3 Ottobre 2013

Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere,


 

 

Discussione sulle linee generali

 

A fine maggio abbiamo approvato la ratifica della Convenzione di Istanbul. La settimana successiva, abbiamo approvato una mozione che impegna il Governo ad un’efficace lotta alla violenza contro le donne con azioni di prevenzione, protezione, repressione, monitoraggio e integrazione delle singole politiche.

Oggi, siamo qui ad approvare un decreto su questo tema. Un impegno rispettato dal Governo ? Sinceramente, mi è difficile rispondere, perché pensiamo ai tempi e pensiamo alla forma. Il Governo ha scelto il decreto volendo far presto per dare risposte immediate ad un’ondata emotiva che cresceva nel Paese e si è concentrato sull’inasprimento del trattamento punitivo per gli autori. Certo, un’ondata emotiva: finalmente, ci si è accorti del femminicidio anche se i dati sono stabili, ma dati stabili non significa che non sono dati tragici. La differenza sta nel fatto che ora se ne parla, c’è consapevolezza, si è fatto emergere il fenomeno. Allora, tempi stretti, quindi decreto, ma noi, per questo tema, continuiamo a ritenere come sede propria il Parlamento nella pienezza dei suoi poteri e non nei limiti di una legge di conversione, per preparare una legge organica discussa sì fra di noi, ma non soltanto tra di noi, anche fuori da qui, in particolare con le vere esperte. Le vere esperte di questi temi sono le donne che si occupano di violenza, sono le donne che lavorano nei centri, che si occupano di tratta, sono quelle che lavorano sul campo e che possiedono le esperienze che ci possono guidare anche nel nostro lavoro legislativo. Ma perché abbiamo bisogno di loro ? Faccio un solo esempio, credo significativo: perché loro ci hanno davvero fatto capire bene che – guardate – la priorità non è tanto che gli assassini vadano in galera – e devono andare in galera, certo –, ma la priorità è che non vi siano più i femminicidi, che si riducano i femminicidi e noi, invece, ci siamo concentrati su una finalità che va bene, ma non è la primaria.

E poi queste esperte, queste donne impegnate sul campo, non solo teoricamente, ma che lavorano, sono state di aiuto anche per il lavoro che abbiamo fatto in Commissione, e sinceramente le Commissioni I e II hanno lavorato bene e sono stati fatti dei passi, ma ci sono alcuni altri passi da fare. Vorrei sottolinearne uno che mi sta – e che ci sta, come donne impegnate nelle associazioni – particolarmente a cuore. Approfondisco, in particolare, il tema dell’irrevocabilità della querela. Guardate, la ratio di questa proposta è assolutamente evidente ed è quella di impedire la revoca causata da pressioni da parte del partner sulla vittima, ovvio. Si dice: se si taglia la forma di dipendenza del procedimento dalla volontà della vittima, le pressioni del partner non avranno nessuna efficacia. Sembra una cosa di buonsenso, ma – attenzione, non abbiamo pregiudizi: proviamo a ragionarci insieme – le donne che stanno sul campo ci dicono che introdurre l’irrevocabilità della querela per questi casi, può sortire l’effetto contrario, cioè essere un deterrente alla denuncia per tutte quelle donne che considerano la cessazione delle condotte moleste, ma non denuncerebbero mai il proprio partner o ex partner sapendo che questo determina per certo una condanna penale per il partner o ex partner. Quindi, il risultato è questo, che un provvedimento pensato per un obiettivo rischia di esporre le donne a situazioni di maggiore vulnerabilità perché non fanno più la denuncia e quindi rischiano ancora di più.

Un altro motivo di riflessione: siamo proprio sicuri che le donne che decidono di rimettere la querela lo fanno per paura e per sottrarsi al rischio di nuove intimidazioni ?

Ci è stato detto che, molto spesso, le donne rimettono la querela per le lungaggini processuali. Il processo arriva molto tempo dopo la querela e quel tempo, per le donne, è il tempo del dolore, di cui nessuna istituzione si fa carico, né informando la vittima in merito a quello che è stato compiuto né aiutandola ad elaborare i traumi subiti.

Vi è, quindi, il rischio, più di un rischio, di una rivittimizzazione in assenza di un’adeguata rete di supporto a sostegno della donna. Questa rete adesso non c’è e dobbiamo farla, ovviamente. Guardate, sono tante le associazioni che ci hanno mandato questi messaggi, ma proprio tante, e tra queste vi sono delle associazioni, e delle donne all’interno di quelle associazioni, che, come me, venti anni fa, raccoglievano le firme a favore della procedibilità d’ufficio.

Ma abbiamo visto che non va bene, e quindi bisogna avere il coraggio di cambiare posizione, se verifichiamo che sul campo le cose non funzionano. Ci vuole coraggio anche nel non avere pregiudizi. Poi vi è anche – scusatemi – una sorta di questione di principio: è quello che si riferisce all’autodeterminazione delle donne. Ma noi siamo certi che togliere l’autodeterminazione delle donne, la possibilità di autodeterminarsi, anche nella scelta difensiva, sia giusto ? Noi, proprio noi che abbiamo fatto del tema della consapevolezza di sé, dell’autodeterminazione delle donne, la ragione fondamentale del nostro impegno.

Ma questo vale poco ! Sappiamo che è un tema delicatissimo, dove le certezze assolute non vi sono né possono esserci. Allora noi cosa possiamo fare ? Possiamo mettere sul piatto le ragioni a favore della revocabilità e le ragioni a favore dell’irrevocabilità, vedere quali sono le più pesanti e valutare senza pregiudizio, ma davvero facendo questa valutazione. A noi pare che, pesando le due cose, le ragioni a favore sono per fermare l’irrevocabilità anche nella sua posizione mediana.

È una raccomandazione, davvero, che vi rivolgo con tutto il cuore: pensiamoci davvero senza pregiudizi.

Nelle fasi di discussione in Commissione vi è stato davvero un lavoro serio e vi sono stati dei cambiamenti che sono nati da collaborazioni trasversali tra di noi, ma anche trasversali tra il dentro e il fuori il Parlamento. Faccio alcuni esempi, rapidi: ad esempio, abbiamo modificato il decreto e previsto, nella predisposizione del piano, che non è più, giustamente, un piano straordinario, ma un piano nazionale, il contributo, nella redazione di questo piano, oltre che delle amministrazioni interessate, anche delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e nei centri antiviolenza.

È un passo giusto, doveroso. Ci conviene, conviene a tutti quanti noi, conviene al nostro Paese. Un altro esempio: la garanzia di azioni omogenee sul territorio nazionale. È importante perché i centri antiviolenza sono soprattutto al Centro-nord; invece, servono anche al Centro-sud. E poi, ancora, la sensibilizzazione degli operatori dei media: è una cosa positiva. E poi, ancora, un’adeguata formazione del personale della scuola su questi temi e anche il cambiamento dei curricula, perché devono contenere temi di sensibilizzazione, informazione e formazione su questi temi.

E poi, ancora, il recupero dei maltrattanti, perché uno può dire «vadano al diavolo», ma serve recuperare i maltrattanti, perché, se si recuperano, la percentuale di recidiva crolla. Questa è azione di prevenzione ! E poi, ancora, una cosa importantissima, perché da anni non abbiamo dati, non abbiamo dati ufficiali. Li raccolgono le donne, questi dati: li abbiamo giusti, ma non ufficiali.

Ed è, appunto, la raccolta periodicamente aggiornata, con cadenza almeno annuale, dei dati del fenomeno. Anche questo è importante. E poi un po’ di soldi, però, cara Viceministra Guerra, sono un po’ pochi. Dobbiamo pensare nella legge di stabilità ad arricchire questi fondi. Non c’era niente. Adesso ci sono sette e dieci milioni. É un passo avanti, ma spero che sia un primo passo di una lunga serie di passi in questo senso, nella consapevolezza che siamo in difficoltà finanziaria. Vedete, passi avanti – e li riconosco –, ma ancora molto lavoro da fare perché affrontare il tema della violenza maschile sulle donne significa fare riforme di carattere strutturale con una chiarezza di fondo, perché il primo obiettivo è quello di eliminare tutti gli ostacoli che impediscono alle donne non di non avere più violenza – ovvio, anche quello –, ma di godere dei diritti fondamentali alla vita, all’integrità psicofisica, alla libertà sessuale, all’accesso alla giustizia, anche penale. É un lavoro molto complesso, molto più complesso di quanto un decreto e la sua conversione possano consentire. Allora, abbiamo avviato un percorso, ma un percorso complesso che deve continuare nella consapevolezza della sua complessità.

Concludo ripetendo ancora una volta un concetto che mi sta particolarmente a cuore e che non perdo occasione di sottolineare ogni volta che parlo di questo tema: è soprattutto agli uomini che noi vogliamo parlare, perché troppo spesso abbiamo parlato fra noi donne, e troppo a lungo la violenza maschile sulle donne è stata considerata questione di donne, e quindi questione privata. Non avrebbe mai dovuto essere né questione di donne né questione privata: è questione politica che riguarda tutta la società (Applausi di deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà) e fermare questa tragedia è insieme impegno e insieme responsabilità che riguarda tutti e tutte, ma in particolare chi come noi ricopre ruoli istituzionali. È una responsabilità doppia e significa assumere impegni precisi per avviare azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione, attraverso politiche attive, coerenti e coordinate che coinvolgono i diversi attori istituzionali e non, a tutti i

diversi livelli, ponendo il tema della violenza contro le donne come priorità assoluta dell’agenda politica. E quello che stiamo facendo ora, giustamente, è solo un passo-