venerdì 12 Febbraio 2016

“Disposizioni per favorire l’applicazione e la diffusione della medicina di genere”


PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati
PAOLA BOLDRINI, PATRIARCA, LENZI, GELLI, ROBERTA AGOSTINI, BERLINGHIERI, STELLA BIANCHI, BOLOGNESI, BURTONE, CARNEVALI, D’INCECCO, FABBRI, GASPARINI, LOCATELLI, MIOTTO, NARDUOLO, PIAZZONI, PICCIONE, GIUDITTA PINI, ROSTELLATO, SBROLLINI, SCUVERA, TINAGLI, ZAMPA, ZANIN
Disposizioni per favorire l’applicazione e la diffusione della medicina di genere
Presentata il 12 febbraio 2016

torna su

Onorevoli Colleghi! È degli anni settanta la denuncia che la medicina non è una scienza neutra. Da quel momento è diventato sempre più sorprendente constatare come lo sviluppo della medicina fosse avvenuto attraverso studi condotti quasi solo sugli uomini, in base al pregiudizio scientifico, errato, che il corpo della donna è come quello dell’uomo, con le sole differenze riferite all’apparato sessuale e procreativo. I concetti di sesso e di genere sono spesso impropriamente sovrapposti: per sesso intendiamo le diverse caratteristiche biologiche e fisiologiche tra maschi e femmine (organi riproduttivi, ma anche cromosomi, ormoni eccetera), con il termine «genere» facciamo riferimento ad una costruzione sociale di norme, comportamenti, attività, relazioni e attributi che una data società considera appropriata per uomo e donna, riferendosi allo specifico momento storico e alla propria cultura, sulla base di tipologie sociali condivise e accettate. Le differenze di sesso e genere hanno un forte impatto sull’incidenza e sul decorso delle patologie di tutti gli organi e di tutte le parti del corpo e spesso presentano sintomatologia, decorso clinico, risposta ai farmaci ed esiti diversi nell’uomo e nella donna. In questi ultimi anni le evidenze scientifiche aggiungono ogni giorno conoscenze che dimostrano quasi sempre una penalizzazione nei confronti delle donne. Molte sono le differenze tra uomo e donna per quanto concerne la salute, ancora sconosciute alla popolazione.
Le donne, ad esempio, rispetto all’uomo hanno sintomi diversi di insorgenza di infarto e di ictus (prima e terza causa di morte per le donne in Italia – Ministero della salute, 2015) e sono sottoposte in misura minore a terapie coronariche salvavita.
Gli uomini, d’altro canto, prestano attenzione in misura minore ai controlli di salute, hanno tassi di sofferenza psichica del 4 per cento superiori alle donne (72,3 per cento uomini su 68,3 per cento donne – Istituto nazionale di statistica-ISTAT 2014), si suicidano tre volte più delle donne (10,7 per cento su 2,9 per cento delle donne – ISTAT 2009), ma chiedono meno aiuto ai servizi sanitari.
Quindi un piano di prevenzione, diagnosi e cura che non tenga conto delle differenze di sesso e di genere compromette l’equità, l’appropriatezza di cura e il rispetto del diritto alla salute: da questo prende le mosse la medicina di genere.
Finora le prime fasi della ricerca clinica hanno privilegiato, come soggetti da studiare, maschi con un peso corporeo di 70 chilogrammi, adducendo come motivazione per la non inclusione paritetica delle donne, caratteristiche di variabilità (ormonale e altre) definite «confondenti». Questi aspetti, aggiunti ai problemi di conciliazione dei tempi di ricerca con gli impegni di vita, spesso motivavano l’espulsione delle donne dal gruppo osservato durante lo svolgimento della ricerca. I trials clinici finora hanno, per questi motivi, incluso soggetti femminili in percentuali non superiori al 30 per cento, quindi in quantità non rappresentative. Questo aspetto ha impedito il progresso della conoscenza delle caratteristiche e delle possibilità di cura per le donne, fenomeno al quale può essere posto rimedio solo con l’attenzione a cure basate sulle caratteristiche sessuali in particolare femminili che, come è emerso da un Congresso del 2015, possono portare vantaggio sia alle pazienti che al Servizio sanitario nazionale, con un risparmio stimato in 100 milioni di euro.
Un Piano nazionale di applicazione della medicina di genere in ogni settore non potrà prescindere da un piano di investimento per la ricerca farmacologica e biomedica in un’ottica di medicina di genere. Non potrà, inoltre, mancare un investimento nella ricerca psico-sociale, attinente alla specifica valutazione della dimensione e dell’incidenza del genere nel percorso di cura.
L’Organizzazione mondiale della sanità conferma che il genere è tra i fattori strutturali che determinano la salute e suggerisce per esso un approccio di salute pubblica che enfatizza l’importanza della prevenzione primaria. Le diseguaglianze di sesso e di genere sono pervasive in tutte le società, in termini di potere, risorse, diritti, norme e valori, e le organizzazioni sociali che ne derivano sono strutturate in modi che danneggiano soprattutto la salute delle ragazze e delle donne. Le diseguaglianze basate sul genere (ne soffrono anche gli uomini, per aspetti specifici) derivano da quello che viene unanimemente definito stile maschilista o patriarcale, condiviso e accettato da tutti, sia uomini che donne. Uno stile che trova la sua ragion d’essere nell’asimmetria delle relazioni sociali di genere.
Molti sono gli organismi che a livello internazionale tengono conto del sesso e del genere in medicina e, primi tra questi, l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Hanno poi emanato disposizioni in materia di medicina di genere l’Unione europea, l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (OSHA) e l’Agenzia europea per i medicinali (EMA). Prestigiose riviste scientifiche quali Nature e New England journal of medicine hanno dedicato numeri monografici alla medicina di genere. Sono sorte società scientifiche dedicate alla medicina di genere.
Nel trattare di medicina di genere non si può trascurare il fenomeno della violenza di genere. La violenza è qualcosa che si può superare: non è un dato di natura. La violenza non può essere intesa e gestita solo come questione di criminalità, cioè di sicurezza sociale, o solo come problema medico, ma, annoverandola tra i temi di salute pubblica, va riconosciuta come prodotto di più fattori di rischio che interagiscono tra loro a diversi livelli.
Vediamo ora nel dettaglio chi e a che livelli si è occupato finora di un orientamento che tenga conto del sesso e del genere in medicina.
L’ONU nel 1981 ha adottato la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW), resa esecutiva dalla legge n. 132 del 1985, che sollecita gli Stati a prendere «appropriate misure per eliminare discriminazioni verso le donne nel campo delle cure sanitarie, assicurando l’accesso ai servizi sanitari, in base all’eguaglianza tra uomini e donne». Nel 1995 la Conferenza dell’ONU sulle donne, tenuta a Pechino, ha denunciato la grave situazione di diseguaglianze di salute a svantaggio delle donne, e ha rivendicato una considerazione delle donne egualitaria rispetto agli uomini. L’aggiornamento della CEDAW del 1999 presentava una sezione specifica «Donne e salute» che invitava gli Stati a «realizzare il diritto delle donne ad ottenere il più altostandard di salute», affermando che «le differenze biologiche tra uomini e donne possono portare a differenze sullo stato di salute ed esistono fattori della società che sono determinativi dello stato di salute di entrambi». L’ONU nel 2007 lanciava una strategia che definiva le azioni necessarie a ottenere l’inclusione del tema relativo al sesso e al genere in salute e in sanità, partendo dai programmi e dalle politiche e nel 2009 esortava gli Stati ad attribuire importanza alla necessità di eliminare le diseguaglianze di salute, in particolare quelle genere-correlate. La sociologa americana Londa Schiebinger è stata una delle autrici fondamentali della risoluzione dell’ONU del marzo 2011 che affrontava il tema di come nella scienza e nella tecnologia l’analisi dovesse essere basata sul sesso e sul genere, con la proposta di integrare la prospettiva di genere nei curriculum universitari.
L’OMS dal 1998 ha riconosciuto l’importanza di tenere conto del genere quando si lavora sulla salute, con il Programma Health for all in the 21th century. Nel 2008 ha pubblicato la Carta di Tallinn che esortava a «raggiungere l’obiettivo del miglioramento della salute su una base di equità, tenendo conto delle esigenze specifiche di salute correlate al genere»; nel 2009 organizzava un Dipartimento per la salute delle donne e di genere e con il report «Donne e salute» dimostrava come «dimenticare» la specificità della donna portasse a diverse conseguenze, ad esempio, ad avere ancora vergognosi dati di «morte per parto» nel mondo. Nel 2012 l’OMS lanciava la nuova strategia per promuovere e facilitare il mainstreaming istituzionale di genere, equità e diritti umani. Il tema «genere» è stabilito come parte della programmazione dell’OMS per gli anni 2014-2019.
La Comunità europea nel 1997 pubblicava «Lo stato di salute delle donne europee», che approfondiva il tema degli indicatori di salute attenti alle donne; con il documento «Europa 2020» l’Unione europea predisponeva una strategia dell’innovazione che inquadrava l’uguaglianza di genere nell’ambito del progresso sociale. L’Unione europea ha curato il «Rapporto 2011 sullo stato di salute degli uomini d’Europa», che ha contribuito a mettere in luce le grandi disparità di salute tra gli uomini di nazioni diverse, analizzando anche i motivi dell’uso infrequente dei servizi sanitari, del lungo periodo tra il riscontro di una sintomatologia e l’incontro con il medico e del maggior tasso di ricoveri negli uomini, per situazioni acute. Nel 2007 è stato fondato l’Istituto europeo della salute delle donne (EIWH) e nel 2011 l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) che contribuiscono ad affermare che il genere è un’importante variabile per capire salute e malattia.
Dal 1998 la Comunità europea ha incluso nei programmi di ricerca un invito alle donne scienziato a presentare progetti nell’ambito del programma poi denominato Women in science orientato allo sviluppo della carriera delle donne nell’ambito della ricerca scientifica. Nel 2010 la Commissione europea ha presentato la «Carta delle donne», documento con il quale rafforza l’impegno a favore della parità fra uomini e donne e rivendica il rispetto della dignità e dell’integrità delle donne, in particolare ponendo fine alla violenza di genere, attraverso politiche mirate.
L’OSHA nel 2003 dichiarava prioritario procedere con uno studio volto a esaminare le problematiche derivanti dalle differenze tra uomini e donne nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro; nel 2004 avvertiva come l’orientamento tradizionale di prevenzione sottovalutasse i rischi sul lavoro delle donne. Il tema è diventato obiettivo primario del Quadro strategico in materia di salute e sicurezza sul lavoro 2014-2020. L’OSHA nel 2010 pubblicava il rapporto «Rischi e tendenze nella sicurezza e salute delle donne al lavoro», nel quale affermava con ancora più forza che l’approccio neutro rispetto al genere, nella politica e nella legislazione, aveva contribuito a dedicare meno attenzioni e risorse ai rischi lavoro correlati delle donne, impedendo azioni di prevenzione. Si sottolineava inoltre come, nelle direttive europee sulla sicurezza sul lavoro, non fosse prestata attenzione al lavoro domestico, svolto in massima parte da donne, e fossero trascurate, tra l’altro, le collaboratrici nell’agricoltura e nell’allevamento. Il rapporto invoca quindi l’inclusione della valutazione di impatto del genere nelle presenti e future direttive dell’Agenzia.
Per quanto concerne il rapporto tra genere e farmaci l’EMA dal 1998 ha pubblicato il documento Note for guidance on the investigation of drug interactions, dando indicazioni sull’interfaccia farmaci e differenze di sesso e di genere. Con documenti successivi ha dato inoltre indicazioni su «Farmaci e patologie cardiovascolari» e su «Il genere nei disegni di ricerca clinica», affermando la necessità di una loro applicazione.
Per ciò che riguarda il versante scientifico, si segnala che gli Istituti americani di salute pubblica (NIH), nel 1985, con il rapporto Women’s health hanno denunciato, per la prima volta, il ritardo conoscitivo della medicina per quanto riguarda la salute della donna. Hanno sottolineato il gender bias (differenza dovuta al sesso e al genere) e richiamato la necessità di orientare la ricerca e gli interventi nel campo della salute pubblica, così da mettere in luce come i ruoli socialmente, economicamente e culturalmente collegati al genere influenzino, in ragione del sesso, i rischi di malattia e la salute delle donne, al di là dei rischi sanitari specifici. Negli anni successivi i NIH hanno sottolineato come l’attenzione alla salute della donna debba partire dalle fondamenta della ricerca clinica e farmacologica e in particolare dai disegni di ricerca. Nel 1991 la cardioioga americana Bernardine Healy, Direttrice dei NIH, pubblicava sul New England journal of medicine, una revisione sistematica e, parlando di sindrome di Yentl (da un personaggio della letteratura contemporanea), dimostrava una discriminazione verso le donne nel campo della cardiologia: ricoverate in terapia intensiva per un episodio ischemico acuto, le donne avevano maggiori probabilità di subire errori diagnostici e terapeutici rispetto agli uomini e, nonostante la diagnosi di disturbo coronarico severo, le pazienti di sesso femminile venivano sottoposte meno dei maschi ai pur necessari interventi di by-pass e angioplastica. È del 2004 il primo libro sulla medicina genere specifica (a opera di Marianne Legato, cardiologa americana). Nel 2010 troviamo la veemente esortazione della rivista scientifica Nature: Putting gender in agenda che, in un numero monografico su queste tematiche, denuncia come le ricerche cliniche studino ancora solamente maschi, sia umani che animali. Pur consapevole delle difficoltà date dal fatto che le donne presentano più variabili, la prestigiosa rivista scientifica afferma che questa «dimenticanza» porta in modo dannoso a non sapere, per esempio, come gestire le malattie in gravidanza e a non capire le differenti conseguenze dell’uso dei farmaci in donne e uomini.
Per quanto concerne i provvedimenti regolatori, nel 2012 grazie al contributo dell’European association for cardiovascular prevention & rehabilitation sono pubblicate le nuove linee guida sulla prevenzione cardiovascolare in Europa, per la prima volta gender oriented. Esse comparano i dati riferiti a uomini e a donne, basati su evidenze scientifiche che confermano come le patologie cardiovascolari rappresentino la principale causa di morte delle donne. Nel 2014 la legge americana Public health service act demanda ai NIH l’impegno a garantire, nelle sperimentazioni cliniche di farmaci e prodotti medicali, una rappresentanza paritetica agli uomini di quello che viene ancora classificato come «sottogruppo demografico», le donne. La legge prevede un piano d’azione che tende a migliorare la raccolta dei dati.
Per quanto concerne le società scientifiche, nel 2001 nasce la Società internazionale della salute dell’uomo (IAMH), che pubblica una rivista sulla salute dell’uomo e sul genere e organizza ogni due anni un convegno internazionale. Durante quello del 2011 è stato presentato il Report europeo sulla salute dell’uomo che denuncia come la non conoscenza dei determinanti sociali specifici per la salute dell’uomo crei diseguaglianze di salute e sia testimonianza di non appropriatezza. Nel 2005 nasce la Società internazionale di medicina di genere (IGM), giunta nel 2015 al 7 congresso internazionale. L’anno successivo nasce l’Organizzazione per lo studio delle differenze sessuali (OSSD) americana, ora ente no profit. Nel 2009 nasce la «Società europea della salute di genere» con il supporto della Giovanni Lorenzini medical foundation che ha sede a Milano e a Houston negli Stati Uniti d’America.
Sul versante della formazione, sono istituite le cattedre di medicina di genere presso le università Charitè di Berlino e di Vienna; il Progetto «Curriculum europeo in medicina di genere» coinvolge sette università europee già attive nella medicina di genere: Stoccolma (Svezia), Berlino (Germania), Maastricht e Nijmegen (Olanda), Budapest (Ungheria), Vienna (Austria) e Sassari (Italia) e consente di sperimentare moduli formativi utili a diversi livelli. Cattedre di medicina di genere sono istituite anche presso università italiane. Per quanto riguarda il Servizio sanitario nazionale italiano si registrano alcune esperienze sporadiche.
Si passa ora a una breve analisi della violenza di genere e dell’approccio di salute pubblica.
Con l’espressione «violenza contro le donne» l’ONU intende ogni atto di violenza riconducibile a danni fisici, sessuali o mentali, o comunque di sofferenza, più frequentemente agito sulle donne, incluse le coercizioni o deprivazioni arbitrarie della libertà, nella sfera sia privata che pubblica. La violenza è qualcosa che si può superare: non è un dato di natura. Causa ed è talvolta causata da una malattia. La recente accettazione, da parte degli organismi internazionali, che la violenza contro le donne sia un fenomeno di genere riconosce, da un lato l’importanza del fattore genere come determinante di salute, anche negli aspetti comportamentali e, dall’altro, che il fenomeno trova origine anche nelle strutture della società, tanto che le uccisioni legate al ruolo sociale che la donna ricopre sono denominate, da qualche tempo, femminicidi.
Il tema della violenza sulle donne, abbinato ai diritti umani, si è limitato finora a un’indignazione collettiva, poco concreta, anche se a partire dalla quarta conferenza ONU sulle donne (Pechino, 1995) era richiesta una sistematica valutazione delle conseguenze della violenza sulla salute. L’OMS nel 1996 identificava la prevenzione della violenza come tema prioritario di salute pubblica e nel 2002 pubblicava il primo report mondiale sulla violenza e salute, per accrescere la consapevolezza di ricercatori e operatori della sanità, sia clinici che sociali, che la violenza si può prevenire e che i servizi di salute pubblica hanno un ruolo fondamentale.
L’impegno contro la violenza sulle donne viene ripreso dalla risoluzione del Parlamento europeo del marzo 2012. In essa si afferma che «considerando che la violenza nei confronti delle donne, compresa la violenza psicologica, costituisce un ostacolo di prim’ordine alla parità tra donne e uomini» e che, nonostante le misure di contrasto adottate da tempo, essa continua a rappresentare «una violazione dei diritti fondamentali delle donne e la più diffusa violazione dei diritti umani all’interno dell’UE». Attenzione va posta inoltre al fatto che «la recessione economica crea condizioni associate a un incremento della violenza nelle relazioni intime e che le misure di austerità aventi ripercussioni sui servizi di sostegno lasciano le donne vittime di violenza ancora più vulnerabili del consueto». Viene ribadita la necessità di raccolte e di analisi di dati disaggregati per genere e il fatto che la salute e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne sono diritti umani e devono essere garantiti a tutte le donne, indipendentemente da status sociale, età, orientamento sessuale e origini etniche.
Quello che stiamo definendo come approccio di salute pubblica si basa sul modello bio-sociale di salute che riconosce il genere tra i fattori strutturali che determinano la salute ed enfatizza l’importanza della prevenzione primaria. Considera, ad esempio, la violenza di genere non solo una questione dell’individuo, né di sola criminalità, né solo un problema medico e nemmeno il risultato di un singolo fattore, ma il prodotto di più fattori di rischio, che interagiscono tra loro a diversi livelli e che richiedono l’interesse della collettività. Il modello suggerisce di agire a livello di prevenzione: primaria (prima che la violenza avvenga); secondaria (abbreviare i tempi per la diagnosi di violenza e attuare trattamenti sanitari preventivi, ad esempio contrastare sia le possibili infezioni a trasmissione sessuale in caso di avvenuta violenza sessuale, sia gli effetti psicologici conseguenti all’accaduto eccetera); terziaria (tenta di ridurre le conseguenze a lungo termine della violenza sulle vittime, nonché di contrastare la ricaduta nella violenza da parte dell’autore).
Le vittime di violenza di genere vanno quindi considerate tra le morti evitabili per contrastare le quali è possibile attivare strategie preventive, identificare i fattori di rischio e rendicontare in modo sistematico il fenomeno con raccolte di dati specifiche.
In Italia nel 1998 le allora Ministre per le pari opportunità e della salute diedero avvio al progetto «Una salute a misura di donna», che dimostrò una sottovalutazione dei problemi della salute delle donne in tutti i settori osservati. Nel 2005, l’allora Ministro della salute organizzava un tavolo tecnico, con la partecipazione dell’Istituto superiore di sanità (ISS), dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), dell’università di Sassari e della Società italiana di farmacologia (SIF), per formulare le linee guida sulle sperimentazioni cliniche e farmacologiche con un approccio di genere. Nel 2007 nasce la Commissione salute delle donne del Ministero della salute. Sono indetti, inoltre, i primi bandi della ricerca finalizzata del Ministero della salute, focalizzati sulla medicina di genere.
Il Ministero della salute e la Commissione sulla salute delle donne nel 2008 hanno pubblicato tre rapporti. L’ISS e la SIF nello stesso anno organizzano il Terzo seminario nazionale sulla salute della donna con la tavola rotonda «La medicina di genere, un’occasione da non perdere». Sempre nel 2008 il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) pubblica il rapporto «La sperimentazione farmacologica sulle donne» e ha avvio il progetto «la medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica: l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna» promosso dal Ministero della salute.
Il primo congresso nazionale sulla medicina di genere si tiene a Padova nel 2009 organizzato da Giovannella Baggio, Presidente dell’appena sorto Centro studi nazionale su salute e medicina di genere nonché docente di medicina di genere all’università di Padova, con il supporto della Fondazione Giovanni Lorenzini (nel 2015 il congresso è arrivato alla quarta edizione). Nello stesso anno Flavia Franconi, professore ordinario di farmacologia molecolare all’università di Sassari e coordinatrice del gruppo farmacologia di genere della SIF, organizza a Sassari il convegno su genes, drugs and gender.
Nel 2010 l’AGENAS pubblica un numero speciale della rivista Monitor su medicina e farmaci gender oriented per approfondire le problematiche inerenti agli aspetti regolatori e in seguito istituisce commissioni di lavoro per elaborare linee guida gender oriented per patologie.
Nel giugno 2014 la Ministra della salute nel corso dell’audizione presso la Commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica, riferendo sulle politiche sanitarie del semestre italiano di Presidenza dell’Unione europea in tema di prevenzione, ha ricordato l’importanza della «salute della donna, per le specificità di genere che la caratterizzano» e l’importanza di «promuovere stili di vita sani e la prevenzione (…) tenendo anche conto delle differenze di genere». Durante il semestre è stata organizzata la conferenza ministeriale europea «Salute della donna – un approccio life course» per affermare la necessità della valutazione di salute, dei sintomi e della cura delle malattie, con attenzione alle differenze di sesso e di genere.
L’ISS nel 2011 affida a Walter Malorni la dirigenza del reparto malattie degenerative, invecchiamento e medicina di genere che ha come obiettivi l’approccio di genere nello studio delle principali patologie per una migliore ottimizzazione della diagnosi e della cura, nonché lo studio delle differenze di genere nelle malattie cardiovascolari, immunitarie, degenerative e tumorali. Nel 2015 il regolamento dell’ISS prevede il costituendo Centro nazionale di riferimento per la medicina di genere.
Nel 2011 l’AIFA introduce l’equità di genere tra i criteri di valutazione e formalizza il Gruppo di lavoro su farmaci e genere. Nel 2013 sollecita le aziende farmaceutiche a elaborare dati disaggregati per sesso e progetti di ricerca gender oriented.
Va riconosciuto anche l’impegno dell’ISTAT che, nell’elaborazione di statistiche sanitarie e di comportamenti legati alla salute, da tempo applica la cosiddetta sesso stratificazione dei dati, cioè dati distinti per sesso, così da facilitare comparazioni e individuare caratteristiche differenziali o similari.
Le disposizioni regolatorie in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro introdotte dal decreto legislativo n. 626 del 1994, che prescindevano dalle differenze di genere, età e provenienza, sono state ampliate dal decreto legislativo n. 81 del 2008 che, recependo a livello nazionale le indicazioni fornite dall’Unione europea, introduce una concezione di salute e di sicurezza sul lavoro non più neutra, ma improntata in modo sistematico alle differenze di genere. Il decreto legislativo ad esempio prende in esame non solo i periodi di gravidanza e maternità (già legislativamente tutelati dalla direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992), ma estende la tutela della salute e sicurezza delle lavoratrici su tutto l’arco della vita lavorativa. Il Gruppo medicina di genere dell’ISS è attivo da alcuni anni su queste tematiche con il servizio prevenzione e protezione interno e con enti esterni, anche in collaborazione con l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). Quest’ultimo ha attivato dal 2010 il progetto «Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere», frutto dell’idea del Comitato per le pari opportunità dell’INAIL (presieduto da Antonella Ninci), della direzione dell’INAIL per la Toscana e della regione Toscana. L’obiettivo finale per l’INAIL, che ha mandato istituzionale in questo senso, è quello di arrivare alla definizione di linee guida nazionali coerenti con il decreto legislativo n. 81 del 2008, per l’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e dell’approccio di genere applicato nella valutazione e nella prevenzione dei rischi. Nel 2015 l’INAIL si è fatto promotore del Forum dei comitati unici di garanzia per le pari opportunità (che ha coinvolto in prima istanza 300.000 lavoratori e lavoratrici del settore pubblico) e che ha prodotto la «Carta del Forum dei comitati unici di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni» che, tra l’altro, prevede il contrasto delle discriminazioni e della violenza di genere sui luoghi di lavoro e l’analisi delle politiche del personale in un’ottica di genere anche in forza della recente riforma della pubblica amministrazione.
In materia di formazione, la legge n. 107 del 2015, meglio nota come «Buona Scuola», introduce (comma 16 dell’articolo 1) l’educazione sulla parità tra i sessi e sulla prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni nelle scuole di ogni ordine e grado. Nel decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 4 ottobre 2000, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 249 del 24 ottobre 2000, la prospettiva gender sensitive è posta tra gli obiettivi formativi in sei classi di corso di laurea triennale (tra cui scienze delle attività motorie e sportive) su ventisei e in undici classi di laurea magistrale (tra cui medicina e chirurgia e scienze delle attività motorie e dello sport) su cinquantadue. Dai dati riferiti all’anno accademico 2011/2012, su un campione di 57 atenei pubblici, è stato rilevato che solamente 16 atenei hanno attivato corsi sul genere (rappresenta lo 0,001 per cento dell’intera offerta formativa universitaria italiana), il 20 per cento dei quali nell’area della medicina. In merito alla medicina di genere, infatti, assistiamo alla nascita di insegnamenti facoltativi: dopo la cattedra di medicina di genere dell’università di Padova avviata dall’anno accademico 2013/2014 (organizzata in seminari interdisciplinari; docente Giovannella Baggio), viene avviata quella di Siena dall’anno accademico 2014/2015, mentre l’università di Ferrara approva un insegnamento specifico a partire dall’anno accademico 2015/2016. In questi anni si stanno anche attivando centri universitari di ricerca sul genere, solitamente interdipartimentali, anche dedicati alla salute e sanità (citiamo gli esempi di Milano, Bologna, Trento, Sassari, Foggia, Pavia, Napoli e Bari). Non va dimenticato il ruolo formativo svolto all’interno di alcune aziende sanitarie, in regime di educazione continua in medicina.
Anche in Italia sono nate associazioni tuttora attive: oltre alla già citata Fondazione Lorenzini (sorta nel 1976), il Centro studi nazionale su salute e medicina di genere e l’Osservatorio nazionale della salute della donna (ONDa-2005); il Gruppo italiano salute e genere (GISeG – 2009). Sul tema della salute e genere sono attive inoltre le associazioni Fidapa; Soroptimist; l’Associazione donne medico; l’Associazione mogli di medici; l’Unione donne italiane (UDI); il sindacato CGIL e per la specifica area della medicina e psicologia del lavoro organismi come i Comitati unici di garanzia del benessere, attivi negli enti pubblici. L’Associazione ONDa nel 2015, in occasione dell’EXPO di Milano, ha proposto il «Manifesto sulla salute della donna 2016-18» che, oltre a potenziare la rete degli ospedali con i bollini rosa (azione attiva dalla nascita dell’Associazione) e all’attenzione ai punti nascita e alla salute sessuale e riproduttiva, intende perseguire sia la riduzione della mortalità per patologie cardiovascolari, dell’incidenza dei tumori e della depressione delle donne, sia l’aumento della qualità della vita delle donne anche in caso di patologie croniche, nonché contrastare la violenza alle donne.
Da qualche anno quasi tutti i convegni delle varie specialità mediche prevedono almeno una relazione sulla medicina di genere e in diverse reti cliniche sono istituite commissioni specificamente orientate ad approfondire le conseguenze dell’orientamento al genere nelle diverse patologie. Nascono così la commissione di epatologia di genere, di diabetologia di genere eccetera. Le sedi provinciali della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FONMCeO) sono molto attive in materia.
Per quanto concerne la violenza di genere la Convenzione di Istanbul del 2011, resa esecutiva dalla legge n. 77 del 2013, ha riconosciuto per la prima volta la violenza di genere.
L’accordo del 2014, con linee guida nazionali, tra la rete nazionale delle Associazioni impegnate ad accogliere le vittime della violenza di genere (Donne in REte contro la violenza) e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e, in particolare, con i servizi sociali dei comuni, rappresenta un’ammirevole iniziativa, che però non vede ancora protagonisti i servizi sanitari in prima linea. Il rapporto dell’ISTAT 2015 «La violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia» conferma come questo sia un fenomeno grave e diffuso.
Il numero delle donne morte per violenza di genere (126 nel 2012; 179 nel 2013; 152 nel 2014) manifesta ogni anno un rischio di inattendibilità poiché non esistono registri istituzionali deputati a rendicontare gli effetti della violenza di genere (oltre alle morti, andrebbero conteggiati i tentativi di uccisione, i ferimenti e i maltrattamenti). Finora va dato merito alla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, che pubblica annualmente un’indagine desunta dagli articoli di cronaca e all’Istituto di ricerche economiche e sociali (EURES), di essersi impegnati in tentativi di rendicontazione.
Non può passare inosservato il richiamo dell’ONU di giugno 2015 all’Italia per non avere fatto abbastanza per ridurre la violenza di genere.
Con riferimento alle diseguaglianze di genere è da ricordare l’importante Libro bianco «L’equità nella salute in Italia», rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità, promosso dalla commissione salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome (Gruppo di lavoro «Equità nella salute e sanità» coordinato da Giuseppe Costa dell’università di Torino) rappresenta un’opportunità di approfondimento del tema specifico «differenza sessuali e genere» nelle prossime edizioni.
La presente proposta di legge intende dare per acquisito che l’approccio di differenza sessuale e di genere nella ricerca, prevenzione, diagnosi e cura rappresenta un’innovazione tendente a massimizzare l’equità e l’appropriatezza dell’assistenza nel pieno rispetto del diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, e analizza e riordina le attribuzioni di funzioni in tal senso, per rendere operativa e concreta l’innovazione di approccio.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità e oggetto).
      1. La presente legge reca disposizioni finalizzate all’applicazione e alla diffusione della medicina di genere, mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie inerenti la ricerca, la prevenzione, la diagnosi e la cura basate sulle differenze derivanti dal sesso e dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale (SSN) in modo omogeneo sul territorio nazionale.
2. Nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, la presente legge:

          a) assicura che a livello nazionale sia messo in pratica un orientamento attento alle differenze di sesso e di genere nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura, prevedendo un approccio interdisciplinare tra le diverse aree mediche e le scienze umane, al fine di garantire l’appropriatezza delle cure;

          b) promuove e sostiene la ricerca biomedica, farmacologica e psico-sociale basata sulle differenze di sesso e di genere;

          c) promuove e sostiene l’insegnamento della medicina di genere garantendo adeguati livelli di formazione e di aggiornamento del personale medico e sanitario;

          d) promuove e sostiene l’informazione pubblica sulla salute e sulla gestione delle malattie in un’ottica di differenza di sesso e di genere.

Art. 2.
(Medicina di genere nel Patto per la salute).
      1. Il Ministro della salute, d’intesa con le regioni e con le province autonome di

Trento e di Bolzano, inserisce tra gli obiettivi del Patto per la salute la promozione e il sostegno alla medicina di genere quale approccio interdisciplinare tra le diverse aree mediche promuovendo:

          a) progetti di ricerca biomedica, farmacologica e socio-psicologica selezionati tramite l’indizione di bandi nazionali, finanziati dallo Stato;

          b) progetti di ricerca biomedica, farmacologica e socio-psicologica, sottoposti alla valutazione dei comitati etici per la ricerca regionali e locali;

          c) l’adozione di linee guida attente al genere per la pratica clinica delle diverse patologie;

          d) l’adozione da parte delle aziende sanitarie locali e ospedaliere di obiettivi divulgativi, formativi e clinici di medicina di genere;

          e) la sensibilizzazione delle riviste scientifiche ai fini dell’accreditamento di pubblicazioni attente al genere.

2. Il Ministro della salute emana apposite raccomandazioni destinate agli ordini e ai collegi delle professioni sanitarie, alle società scientifiche e alle associazioni di operatori sanitari non iscritti a ordini o collegi, volte a promuovere l’applicazione della medicina di genere in tutto il territorio nazionale.
3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i rispettivi piani sanitari agli obiettivi del Patto per la salute stabiliti ai sensi del comma 1.

Art. 3.
(Soggetto coordinatore ed enti interlocutori).
      1. Il Ministro della salute, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità e d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in coerenza con le finalità della presente legge, coordina i rapporti con i soggetti

istituzionali coinvolti, ai fini dell’applicazione della medicina di genere in ogni settore.
2. Ai fini di cui al comma 1, il Ministro della salute, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità, svolge le seguenti funzioni:

          a) finanzia annualmente, nell’ambito delle azioni di promozione della ricerca, progetti di ricerca basati sulle differenze di sesso e di genere;

          b) promuove il recepimento dei progetti di ricerca basati sulle differenze di sesso e di genere presso i comitati etici per la ricerca regionali e locali da parte del Servizio sanitario nazionale;

          c) emana apposite raccomandazioni finalizzate all’elaborazione delle linee guida cliniche della medicina di genere in conformità a quanto stabilito dagli organismi regolatori e scientifici europei e internazionali.

3. Il Ministro della salute, in collaborazione con l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) e con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano:

          a) promuove la progettazione e l’attuazione di piani sanitari e di prevenzione regionali, che tengono conto del genere come fattore determinante della salute;

          b) istituisce registri pubblici sulla violenza di genere e rendiconta le azioni applicate di medicina di genere con report annuali pubblicati nel sito internet istituzionale del Ministero della salute;

          c) stabilisce che il genere sia inteso come indicatore sia clinico sia organizzativo, da inserire nei piani della valutazione della qualità delle aziende sanitarie locali e ospedaliere;

          d) incarica la Commissione salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome di approfondire sistematicamente il tema delle differenze di sesso e di genere nella medicina.

4. Il Ministro della salute, previo parere dell’Agenzia italiana del farmaco, emana apposite raccomandazioni affinché le sperimentazioni cliniche dei farmaci e dei dispositivi medici siano condotte su campioni di popolazione selezionati in base al genere, in modo paritetico, in conformità con quanto stabilito dall’Agenzia europea per i medicinali.
5. Il Ministro della salute, in collaborazione con il Comitato nazionale per la bioetica, cura l’approfondimento delle nuove problematiche legate alla medicina di genere, con particolare riferimento alla ricerca, alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle malattie.
6. Il Ministro della salute, d’intesa con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e sentito il Consiglio nazionale delle ricerche, avvalendosi dei fondi di finanziamento europei, promuove progetti di ricerca sulle differenze di sesso e di genere rilevanti per la salute.
7. Il Ministro della salute, in collaborazione con l’Istituto nazionale di statistica, garantisce l’elaborazione e la libera fruizione di dati sulla salute della popolazione, aggregati in base alle differenze di sesso e di genere.

Art. 4.
(Istituzione dell’Osservatorio nazionale dinamico per la medicina di genere).
      1. Il Ministro della salute, d’intesa con il Ministro dell’istruzione, della università e della ricerca e sentita l’AGENAS, istituisce l’Osservatorio nazionale dinamico per la medicina di genere con il compito di raccogliere, coordinare e trasferire dati epidemiologici e clinici al fine di assicurare il raggiungimento dell’equità nel diritto alla salute. All’Osservatorio sono inviati anche i dati dei registri e i rendiconti di cui all’articolo 3, comma 3, lettera b).

Art. 5.
(Piano formativo nazionale per la medicina di genere).
      1. Il Ministro della salute, d’intesa con il Ministro dell’istruzione, dell’università e

della ricerca, predispone un Piano formativo nazionale per la medicina di genere che prevede l’attivazione di corsi interdisciplinari finalizzati alla conoscenza e all’applicazione dell’orientamento alle differenze sessuali e di genere nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura. Tali corsi sono attivati in tutte le classi dei corsi di laurea delle professioni sanitarie e sono recepiti nei piani formativi delle aziende sanitarie con requisiti per l’accreditamento nell’educazione continua in medicina.

Art. 6.
(Norme in materia di sicurezza sul lavoro).
      1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d’intesa con il Ministro della salute e sentito l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, procede a una valutazione e a un’eventuale revisione delle norme vigenti in materia di sicurezza sul lavoro in un’ottica di genere.

Art. 7.
(Azioni informative e di divulgazione scientifica).
      1. Il Ministro della salute, previo parere dell’Istituto superiore di sanità e in collaborazione con l’AGENAS, con le aziende sanitarie e con le associazioni e fondazioni attive nel settore della medicina di genere, promuove azioni informative e di divulgazione scientifica sulla medicina di genere a livello locale, regionale e nazionale.

Art. 8.
(Disposizioni attuative).
      1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, avvalendosi del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri e dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, emana indicazioni

per la valutazione dell’attuazione della presente legge, in conformità alle norme europee in materia di antidiscriminazione.
2. Il Ministro della salute trasmette alle Camere, con cadenza annuale, una relazione sulle azioni di promozione e di sostegno della medicina di genere attuate nel territorio nazionale sulla base delle indicazioni di cui al comma 1.

Art. 9.
(Clausola di invarianza finanziaria).
      1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.