giovedì 23 Marzo 2017

Con Guterres tredici anni di lavoro insieme


Prefazione al libro di Ugo Intini “Un socialista all’Onu. Guterres all’Anti Trump”

 

Con Antonio Guterres ho condiviso per anni il lavoro nella grande famiglia del Socialismo internazionale, essendo stati eletti  nel congresso di Berlino del settembre ’92 vice-presidenti, lui dell’Internazionale socialista ed io dell’Internazionale socialista donne.

Ligia al dovere legato al ruolo – promuovere la condizione delle donne e favorirne la presenza nei luoghi decisionali – chiesi di incontrare Antonio Guterrez, che dal febbraio del 1992 era divenuto anche segretario del Partito, cui seppe dare, dopo la terza sconfitta consecutiva alle elezioni politiche dell’ottobre ’91, una svolta tale da permettergli di vincere  le elezioni al primo appuntamento elettorale del ’95.

Intendevo svolgere il mio lavoro di vicepresidente non solo sostenendo le organizzazioni femminili dei partiti della regione, ma coinvolgendo i partiti stessi per una maggiore presenza femminile  negli organismi dirigenti e nelle istituzioni, a partire dal parlamento. Fu un incontro cordiale, cortese, ma ricordo ancor oggi la sua sorpresa per la mia richiesta, confessando di non aver idee in merito: era evidentemente un tema che non conosceva e che non aveva mai affrontato.

Su questo tema delle donne, che non gli apparteneva, ha saputo crescere e la storia fu che negli anni, elezione dopo elezione, il Portogallo vide aumentare la presenza delle donne in Parlamento, che ora sono il trentacinque per cento. Con il loro numero crebbero la consapevolezza, la sensibilità  e l’impegno di Antonio Guterres, che nelle giornate precedenti il suo insediamento come Segretario generale ONU ha dichiarato che entro la fine del suo mandato la parità di genere dovrà essere raggiunta a tutti i livelli delle istituzioni delle Nazioni Unite, a partire dal Segretariato generale, compresi i rappresentanti e gli inviati speciali.

Antonio Guterres  ha corso verso la parità più rapidamente di quanto non abbia fatto sino ad ora l’Internazionale socialista, di cui è stato presidente per sei anni fino al 2005, quando lasciò per diventare alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Nella sua militanza l’ho sempre visto coniugare ideali e concretezza, parola spesso presente nei suoi discorsi, per una forma di ossessione del fare. Visione e ampiezza di respiro hanno sempre trovato realizzazione nell’azione quotidiana: “Quello che facciamo concretamente per il nostro popolo è la prova del fallimento delle tesi sulla fine della storia o del declino delle ideologie”, disse nel discorso al Congresso dell’Internazionale socialista di Parigi del novembre ‘99, dove fu eletto presidente.

I socialisti italiani ebbero modo di conoscerlo qualche mese prima al IV Congresso del Partito del socialismo europeo che si era svolto a Milano nel mese di marzo.

In quell’occasione Guterres dimostrava di aver già molto chiari i punti di crisi che venivano amplificati dal fenomeno della globalizzazione, nell’intreccio inestricabile della speculazione finanziaria e di una recessione che ci avrebbero ben presto condotti a una crisi mondiale dell’economia.

Varrebbe la pena riascoltare le parole di allora perché a distanza di quasi vent’anni si potrebbe tranquillamente riprendere in mano la traccia di quei progetti per affrontare i problemi di oggi. Nel documento di Guterres c’era il sostegno a un mix di politiche macroeconomiche e di cambiamenti strutturali nella gestione della domanda per creare crescita e occupazione a breve termine, col sostegno alle piccole e medie imprese, la creazione di reti transeuropee, i programmi di formazione ed educazione finanziati anche dalla BCE attraverso nuove forme di finanziamento come euro-obbligazioni da associare a strumenti tradizionali.

Una grande capacità di guardare avanti, molto avanti, come quando sottolineava la necessità di costruire una società europea per l’informazione, per dare un accesso democratico all’informazione, strumenti informatici disponibili per tutti, con l’obiettivo anche di colmare il divario tra Stati Uniti ed Europa ricordando che l’esclusione dall’informatica potrà rappresentare un fattore drammatico di ingiustizia e diseguaglianza nel mondo di domani. “Modernità, sviluppo e innovazione saranno possibili solo in un contesto di coesione economica e sociale, di pari opportunità per tutti”. L’importante – ricordava – è condividere gli stessi valori di fondo quei valori che oggi, a venti anni di distanza, sembrano minacciati alle fondamenta da un’altra grave crisi che si è sovrapposta a quella economica: quella migratoria.

Eh sì, perché la questione delle migrazioni sarà con ogni probabilità uno degli elementi che segneranno a fondo la storia dell’umanità a cavallo dei due secoli. Una prospettiva ben compresa da Guterres che si è trovato a fronteggiare crisi gravissime quando ha assunto il ruolo di alto commissario dell’UNHCR.

Nel suo approccio a questa questione epocale, che oggi comprendiamo perfettamente come sia anche in grado di sconvolgere gli equilibri politici di singoli paesi e dell’interna Unione europea, Guterres ha sempre percorso simultaneamente la strada del sostegno assistenziale e quella dell’analisi strutturale del fenomeno, in una sintesi che si potrebbe definire perfetta, di socialismo umanitario.

Di fronte a fenomeni di cui già due lustri fa anticipava la sconvolgente progressione, non si è mai limitato difatti a denunciare la insufficienza delle azioni soccorritrici, ma ne ha sempre ricercato, quasi nel dettaglio, genesi ed evoluzione, collegando il fenomeno migratorio anche al tema delle distorsioni economiche e sociali provocate dalla globalizzazione e a quello dirompente e nuovo della rottura degli equilibri ambientali.

A questo proposito suonano oggi di straordinaria attualità le parole che Guterres ha pronunciato quasi dieci anni fa intervenendo davanti alla Commissione esteri della Camera dei Deputati. In quell’occasione ebbe a spiegare come sia destinato a diventare sempre più difficile distinguere tra profughi economici e profughi politici mentre si sta aggiungendo un nuovo fattore, quello climatico.

“Pensiamo al Darfur (…). Tra il governo di Khartoum ed i movimenti ribelli è in corso un conflitto – spiegava in quell’occasione – che viene oggi svolto per procura: i Janjaweed, che sono anche pastori nomadi, attaccano i villaggi degli agricoltori, i quali hanno risorse e acqua sempre più scarse. C’è un conflitto politico tra governo e ribelli, che si traduce in attacchi contro i civili, ma c’è anche un conflitto tra due gruppi tribali diversi, che competono soprattutto per le risorse idriche: uno africano e l’altro arabo, uno stanziale e l’altro nomade, uno dedito all’agricoltura e l’altro dedito alla pastorizia”.

Il Darfur è dunque un esempio della complessità delle radici di un fenomeno migratorio che oggi vede crescere il numero delle persone che si spostano all’interno dei confini di un Paese oppure dai paesi poveri verso quelli più ricchi, ma anche ovunque ci sia una situazione di sofferenza sociale determinata da un’eccessiva differenza tra ricchi e poveri. Un fenomeno quest’ultimo in rapida espansione, perché se la globalizzazione da un lato ha fatto decrescere in termini assoluti il numero dei poveri, dall’altro ha allargato assai la forbice tra ricchi e poveri anche all’interno di singoli paesi.

Si spiega come così nel Ventunesimo secolo cresca sempre più il numero di persone che si spostano per motivi diversi e, spesso, per più di un motivo assieme. Oggi gli spostamenti forzati di intere popolazioni che lasciano le loro case, affondano le loro radici in cause diverse: quelle determinate da situazioni di gravissima privazione economica generata o amplificata dalle distorsioni indotte dalla globalizzazione, poi conflitti e persecuzioni e, in prevedibile crescita, quelle legate al degrado ambientale e al cambiamento climatico con l’innalzamento delle temperature e l’estensione delle aree colpite da siccità. E quest’ultima condizione interesserà in modo particolare il bacino del Mediterraneo ed il sud dell’Europa, Italia compresa.

Riascoltando i suoi interventi si ha subito la sensazione di trovarsi di fronte a una personalità con una grande capacità di visioni complessive dei fenomeni e della loro possibile evoluzione. Era Guterres che già in questo intervento sopracitato denunciava l’insufficienza, o meglio l’assenza, di “una politica europea sulle politiche della migrazione”, “di un regime comune di asilo”, di “una vera e propria capacità di far fronte comune a questi problemi”.

Il problema di fondo è, insomma, rispondere a questi fenomeni che hanno proporzioni drammatiche mentre mancano gli strumenti adeguati per far intervenire la Comunità internazionale, per attivare meccanismi di cooperazione economica.

Ecco un elemento che riemerge ciclicamente negli interventi di Guterres, la “mancanza di fiducia” nella comunità internazionale, una lacuna che impedisce perfino di costruire gli strumenti per intervenire in difesa delle persone quando queste divengono vittime e gli Stati di appartenenza “non sono disposti a proteggerli o non sono in grado di farlo”. Un tema purtroppo sempre attuale con cui dovrà confrontarsi di nuovo e di più dallo scranno di Segretario generale delle Nazioni Unite.

Questo forse diverrà uno dei temi di fondo a cui si applicherà con una particolare attenzione e passione, perché è proprio nella insufficiente o assente collaborazione tra gli Stati, una delle debolezze più acute delle Nazioni Unite ogni qualvolta si cimenta con il controllo e la ricerca di una soluzione per una disputa internazionale, una crisi, un conflitto.

La visione di Guterres è molto ampia, anzi è davvero globale. Anche la questione della governance, che è indispensabile se vogliamo governare, controllare, correggere fenomeni quali le migrazioni o le violazioni dei diritti umani, ma anche la globalizzazione della finanza e del commercio che creano distorsioni enormi a livello planetario, si riaffaccia spesso nei suoi interventi degli anni passati.

Se vogliamo immaginare quelle che potranno essere le linee guida del suo impegno alle Nazioni Unite, basta scorrere il suo discorso di insediamento come presidente dell’Internazionale socialista nel novembre del ‘99: difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali senza limitazioni, reinterpretazioni, adattamenti, perché in tutta la sua carriera è sempre stato un difensore ostinato dei diritti umani, convinto com’era che la pace e lo sviluppo sostenibile non siano possibili senza la loro promozione e protezione. Diritti economici e sociali, possibili in un scenario di politiche economiche coordinate in favore della crescita e dell’occupazione. Diritti di terza generazione, diritti ambientali, parità tra donne e uomini, diritto alla vita privata, alla identità, alla memoria…

 

Oltre al tema della fiducia tra gli Stati e quello della governance, c’è quello di una riforma dell’ONU nel senso di una maggiore democrazia, di un miglioramento della capacità di garantire che la sovranità degli stati non sia un ostacolo al rispetto fondamentale dei diritti delle persone, di migliorare la sua capacità di costruzione e mantenimento della pace una volta raggiunto un accordo che metta fine a una situazione di conflitto.

Giustizia, difesa della libertà e dei diritti umani, promozione di una società più equa e solidale, sono i binari su cui scorre il pensiero di Guterres, il pensiero di un uomo che pensa e agisce da socialista. “Tutto si è globalizzato – dice – tranne la politica che rimane essenzialmente nazionale”, e perciò ormai incapace di assolvere al suo compito di governo delle attività umane.

Un fallimento che pesa sempre più e di cui lui ha una consapevolezza rara che ci può far dire che con la sua elezione al vertice del Palazzo di Vetro abbiamo, certamente questa volta, la persona giusta al posto giusto.

Non casualmente il 6 ottobre il suo nome è stato indicato per acclamazione, una scelta unanime del Consiglio di sicurezza, a succedere a Ban Ki Moon come nono Segretario generale delle Nazioni Unite. Una nomina che è il risultato del più aperto e trasparente processo di selezione nella storia delle Nazioni Unite. Ne siamo orgogliosi, noi della famiglia socialista, e ci congratuliamo con lui esprimendogli la più profonda gratitudine per aver meritato questa carica che inorgoglisce i socialisti di tutto il mondo.

Infine non posso non ricordare che l’inizio dell’attività di Antonio Guterres come Segretario generale delle Nazioni Unite, nei primi giorni del 2017, è coinciso con la morte, negli stessi giorni, del compagno Mario Soares, per anni presidente del Portogallo, dopo una vita spesa per affermare i valori del Socialismo nel suo Paese, in Europa, nel mondo.

Mario Soares se n’è andato lasciando un vuoto difficile da colmare, in particolare per noi socialisti italiani, perché Mario Soares non era solo un compagno, era anche un buon amico. Le radici di questo rapporto di amicizia risalgono al finire degli anni Sessanta, quando chi si fosse trovato a passare per gli uffici della sezione esteri del PSI a Roma, lo avrebbe certamente incontrato visto che in quelle stanze ci lavorava assieme ad altri esponenti politici della resistenza antifascista europea. A partire da quegli anni, e fino al ’92, infatti,  il Psi aveva cominciato a tessere una fitta rete di rapporti politici e di solidarietà concreta – che nel caso di Soares si tradusse in un lavoro stipendiato – non solo con i compagni portoghesi, spagnoli e greci, ma anche con molti altri partiti, movimenti di liberazione e singole personalità dell’opposizione democratica alle dittature dell’Est e dell’Ovest, cecoslovacchi, polacchi, cileni, palestinesi…

Il saluto di Antonio Guterres a Mario Soares nel libro delle condoglianze presso la sede del Partito Socialista di Lisbona conferma quale è e sarà il principale valore cui si è sempre ispirato il nuovo Segretario generale delle Nazioni Unite: “(…) amico, eterno militante numero uno del partito (…) compagno di tante battaglie (…) protagonista principale del valore primario che ci guida: la libertà”.


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