martedì 13 Settembre 2016

Burundi, ripristinare legalità e diritti umani


 LOCATELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che: 
da oltre un anno il Burundi si trova in una drammatica crisi politica innescata dalla decisione dell’attuale Presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per la terza volta alle elezioni presidenziali, violando le disposizioni della Costituzione burundese, nata dagli accordi di Arusha che hanno posto fine alla guerra civile durata vent’anni, che prevedeva che il Capo dello Stato non potesse rimanere in carica per più di due mandati; 
tale annuncio ha provocato l’esplosione di proteste, manifestazioni, violenti scontri e un tentativo di colpo di Stato, repressi dall’esercito e dalle forze di sicurezza con atti di repressione di inaudita violenza: radio e giornali chiusi, raid nell’università, arresti, omicidi, sparizioni; 
l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad Hussein, ha di recente definito sconvolgente l’aumento delle pratiche di tortura e maltrattamenti in Burundi, dove solo nel 2016 i casi registrati sono circa 400 (dall’inizio della crisi il numero è di quasi 600); 
le repressioni hanno prodotto un consistente flusso di rifugiati verso i campi profughi dei Paesi confinanti: oltre 250.000 persone hanno infatti trovato rifugio in Tanzania, Ruanda, Uganda e Congo, alloggiando in strutture drammaticamente inadeguate ad accogliere una folla di tali proporzioni; 
torture e sparizioni sono all’ordine del giorno e sono giunte testimonianze in ordine all’esistenza di fosse comuni nelle quali sarebbero stati accatastati i cadaveri delle vittime, che, secondo i racconti pervenuti, sarebbero in prevalenza di etnia tutsi, circostanza che suscita molte preoccupazioni per il fatto che la crisi in atto possa innescare una guerra civile come quella che si è consumata in Ruanda tra il 1993 e il 1994; 
i tentativi per la composizione del conflitto in atto, ad opera del Presidente ugandese Museveni e della Comunità dell’Africa orientale (Eac) sono purtroppo falliti; 
il Burundi ha sottoscritto, tra gli altri, il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, la Convenzione onu contro la tortura ed i trattamenti e le punizioni crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione sui diritti del fanciullo, lo statuto della Corte penale internazionale; 
nel rapporto presentato nel mese di aprile 2016 al Consiglio di sicurezza, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, definendo allarmante la situazione del Burundi, ha avanzato una serie di proposte, tra cui l’ipotesi di inviare una missione di pace nel Paese, con l’invio di fino a tremila uomini, ovvero agenti di polizia da affiancare ai funzionari dell’Onu e dell’Unione africana allo scopo di garantire la tutela dei diritti umani; 
i rapporti del 2014 e del 2015 di Amnesty international sul Burundi mettono in evidenza episodi di repressione, violazione delle libertà di espressione e di manifestazione, arresti illegali e ricorso alla tortura, documentando violenze di ogni tipo; 
il 25 aprile 2016 la procuratrice Fatou Bensouda della Corte penale internazionale ha annunciato un’indagine sulle violenze compiute in Burundi; 
la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica e il Comitato permanente per i diritti umani, istituito presso la Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati, hanno incontrato il 10 maggio 2016 Marguerite Barankitse, una delle principali figure di impegno civile e umanitario del Paese, e Leonidas Hatungimana, già portavoce del Presidente Nkurunziza, entrambi costretti a riparare all’estero, il secondo essendosi espresso contro il terzo mandato; 
Marguerite Barankitse e Leonidas Hatungimana hanno voluto sottolineare di essere l’una di etnia tutsi, l’altro di etnia hutu, ad indicare che quello in atto in Burundi non è un conflitto di tipo etnico; hanno inoltre descritto e documentato le violenze perpetrate contro la popolazione civile dalle autorità burundesi, in particolare quelle contro donne e minori, confermando la presenza di fosse comuni; 
la signora Barankitse ha denunciato la chiusura da parte del Governo dell’ospedale Rema della «Maison Shalom», da lei fondata quindici anni fa, destinato in particolare alle donne in gravidanza, con conseguenze gravissime per le donne stesse e i bambini; l’interruzione forzata dell’erogazione di energia elettrica avrebbe portato alla morte di numerosi bambini in incubatrice –: 
alla luce della prima conferenza ministeriale Italia-Africa, tenutasi a Roma mercoledì 18 maggio 2016, alla quale ha partecipato il Ministro degli esteri del Burundi, Alain Aimé Nyamitwe, e dell’eventualità che le autorità italiane abbiano chiesto di essere informate su quanto sta avvenendo nel Paese e abbiano affrontato con il Ministro burundese il tema della violazione dei diritti umani, invocandone il rispetto, e della libertà di espressione e di manifestazione, quali iniziative intenda adottare il Governo, anche d’intesa con i partner dell’Unione europea, perché la condotta delle Autorità burundesi sia conforme agli atti ed alle convenzioni poste a tutela dei diritti umani che il Burundi ha sottoscritto; in coordinamento con gli altri Paesi dell’Unione europea e con le Nazioni Unite, per scongiurare il rischio di nuovi massacri in Burundi, per promuovere sanzioni economiche della comunità internazionale contro il Burundi sino a quando non verrà ripristinata la legalità e verrà posto termine alla repressione e per agevolare il percorso formale che potrebbe portare all’incriminazione del Presidente del Burundi Pierre Nkurunziza dinanzi alla Corte penale internazionale. (3-02465) 
(12 settembre 2016) 
(ex 5-09201 del 19 luglio 2016)